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Lavoriamo per la nostra dignità

Articolo 35: La repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.

Sì, perché la tutela a cui si riferisce l’articolo 35 non è il diritto all’occupazione, proclamato dall’articolo 4 e mai pienamente attuato. Qui il richiamo è alle condizioni materiali e concrete di lavoro, alle modalità in cui esso si svolge, alla retribuzione, alle prospettive di carriera.

Ma cosa significa “tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”?

Significa garantire che ogni lavoratore sia trattato con dignità e rispetto, gli sia tutelata l’integrità psico-fisica e l’accesso alla formazione per sviluppare le proprie competenze professionali.

Ricordiamoci che il lavoro è molto più di un semplice modo per guadagnarsi da vivere. Il lavoro ci permette di esprimere noi stessi, di mettere in pratica le nostre competenze e di contribuire alla società in cui viviamo.

La società è come un albero: ogni lavoratore è una foglia che contribuisce a rendere rigogliosa la pianta ma, se le foglie non sono curate e protette, l’albero rischia di morire.

In Italia, le donne hanno diritto a varie forme di tutela del lavoro. Ad esempio, hanno diritto a 5 mesi di congedo di maternità. Durante questo periodo, alla donna è garantita una percentuale del suo stipendio come indennità di maternità.

Le donne hanno anche il diritto di riprendere il proprio posto di lavoro dopo il congedo di maternità o il congedo parentale, che spetta anche ai padri.

Le donne hanno diritto a pause per l’allattamento durante l’orario di lavoro.

I datori di lavoro sono tenuti a prevenire e affrontare tutte le forme di molestie e violenza contro le donne sul posto di lavoro.

Le donne con figli piccoli hanno il diritto di richiedere un lavoro part-time.

I datori di lavoro, infine, sono tenuti a fornire la stessa retribuzione, a parità di lavoro, a donne e uomini.

Ma tutte queste tutele vengono effettivamente applicate?

Nonostante i significativi progressi, i dati dimostrano che le donne continuano ad essere svantaggiate in ambito lavorativo. Ciò si traduce in precarietà lavorativa, difficoltà ad accedere a posizioni di vertice, vivere in un ambiente di lavoro in cui si è costrette a fronteggiare episodi di molestie e ricatti.

E anche se le donne rappresentano quasi la metà della forza lavoro italiana, esse si trovano ancora ad affrontare ostacoli significativi alla parità di retribuzione.

È come se chiedessimo ad una donna di correre una gara con una sola scarpa e poi ci sorprendessimo perché non riesce a tenere il passo.

La mamma è sempre quella che sospende il proprio percorso lavorativo o rinuncia al lavoro per occuparsi della cura della famiglia

Vi è mai capitato di raffrontare le tutele per le madri lavoratrici italiane con quelle previste e attuate dai principali partner europei? Le nostre, in pratica, sono limitate da barriere strutturali, culturali, e sistematiche che di conseguenza limitano le possibilità di scelta delle donne.

Ad esempio, la scarsa disponibilità di asili nido e servizi di assistenza agli anziani - unita alla cultura della famiglia tradizionale in cui le donne sono ancora considerate le principali responsabili per la cura dei figli e degli anziani - limita le possibilità di lavoro delle donne e spesso le costringe a lavori a tempo parziale o precari per poter avere la possibilità di curare la famiglia.

In Italia “La mamma è sempre la mamma”.

È un detto comune, ma se guardiamo alcuni dati scopriamo che questo è vero, anche in senso negativo: sono le madri a sostenere il peso maggiore dell’essere genitori. Sono le madri a prendere un congedo lavorativo o a rinunciare al lavoro.

Congedi parentali. Elaborazione Openpolis su dati OCSE
Dimissioni dal lavoro. Fonte: Istituto Nazionale del Lavoro 2021

Questo è un problema - anche culturale - perché i congedi di paternità servono a promuovere una divisione più equa del lavoro familiare.

Anche fuori dal periodo di maternità, le prospettive occupazionali sono comunque peggiori per le donne: per le fasce di reddito basse e dove non esistono asili, spesso conviene di più non lavorare e occuparsi dei figli e sono quasi sempre le madri a uscire dal mercato del lavoro per farlo.

Dimissioni per difficoltà a conciliare il lavoro con la cura dei figli. Due donne su tre si dimettono, Fonte: Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche pubbliche su dati dell'INL 2021.

Insomma, siamo un Paese in cui la responsabilità della genitorialità ricade molto più sulle madri che sui padri.

Da poco, è stata negata ad un’avvocata una richiesta di permesso per poter stare vicina a suo figlio

Possiamo continuare a parlare di diritti e tutele di genere, ma siamo ancora un Paese in cui a una donna viene chiesto esplicitamente di scegliere tra la famiglia e il lavoro, tra essere madre o lavoratrice.

Ma i diritti non sono utopici principi, sono rispetto e tutela dell’esistente.

La moglie è l’angelo del focolare, cioè è quella che rinuncia al lavoro e dipende economicamente dal coniuge

Spesso si tende a pensare che la violenza sia solo schiaffi, stupri, ma non è così.

Voglio parlare con voi dei numeri di una forma di violenza di cui non si parla mai: la violenza economica e quante vittime conta.

La violenza economica è una delle forme di violenza più subdole perché fa il suo gioco sul terreno della dipendenza; tutti quei comportamenti di controllo, di limitazione o negazione all’accesso alle finanze familiari, volti ad evitare che l’altra persona acquisisca una sua vera autonomia al di fuori della relazione, caratterizzano la cosiddetta violenza economica.

Quante sono le donne vittime di violenza economica?
Nel 2020, il 37,8% delle donne che si è rivolta a un centro antiviolenza era vittima di violenza economica. Fonte: ISTAT
Circa il 40% delle donne non possiede un proprio Conto corrente. Fonte: Epistème

È preoccupante che non si parli adeguatamente della marginalità che questa forma di violenza genera e produce, ma è ancora più allarmante notare che molti non ne comprendono le conseguenze

Per prevenire ed evitare che questa forma di violenza si verifichi, purtroppo non bastano i piccoli aiuti mensili, che i governi possono mettere o togliere a loro piacimento con regole più o meno stringenti. Sono necessari opportunità lavorative, forme di lavoro flessibili, educazione finanziaria, opportunità sostenibili nel tempo e non interventi scarsi ed emergenziali che non spostano minimamente l’ago della bilancia verso la parità di genere, perché la parità di genere passa senza dubbio per quelle tutele e quell’indipendenza economica che alle donne continua ad essere negata.

Non solo. Una retribuzione equa, la sicurezza del lavoro, il congedo retribuito, l’assistenza all’infanzia e le tutele legali contro la discriminazione andranno a beneficio non solo delle donne ma anche delle famiglie, delle imprese e della società nel suo complesso.

Occorre un cambiamento culturale che promuova uguaglianza di genere e valorizzazione del lavoro femminile.

Dobbiamo utilizzare tutte le risorse a nostra disposizione se vogliamo costruire un futuro forte e sostenibile per tutti.

Altrimenti sarà come cercare di costruire una casa con solo la metà dei materiali necessari.

Maria Stella Gulmanelli, I.I.S. "G. A. Pischedda", Bosa

Alunne: Isabella Bermudez Montoya, Ginevra Puggioni, Chiara Soma, Alessandra Ziulu.

Fonti principali: ISTAT. Epistème. INLChiara Tripodina, Commento articolo 35 della Costituzione, Università degli Studi del Piemonte Orientale. Flavia Carlini: https://linktr.ee/flalaland

Immagini: Pixabay, Unsplash, Pexels