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Sikh Attualità - 2

I dissidenti Ravidassia

Il 30 gennaio 2010, presso Varanasi, in una località chiamata Seer Govardhanpur, venne annunciata la nascita di una nuova religione, denominata Ravidassia dal nome del suo maestro: Guru Ravidas.

Era presente una folla di centinaia di migliaia di fedeli, giunti da ogni parte dell’India e dall’estero.

Fino a quel momento, i seguaci del Guru avevano fatto parte della comunità Sikh.

Il lento processo di separazione, durato quasi un secolo, è stato causato dalla discriminazione castale che continuava ad essere presente nel Sikhismo, nonostante gli insegnamenti dei dieci Guru.

La decisione definitiva venne presa dopo un attentato terroristico, avvenuto a Vienna la mattina del 24 Maggio del 2009, nel tempio lì dedicato a Guru Ravidas.

Il tempio principale di Seer Govardhanpur, vicino a Varanasi. Foto di Nafees Ahmad

Guru Ravidas, il “Messia degli oppressi”

Nato nel 1377 circa (o nel 1267, secondo altri studiosi), a Seer Govardhanpur, da una famiglia di Chamar, casta dei lavoratori del cuoio Guru Ravidas è un mistico appartenente alla corrente religiosa medievale della Bhakti.

La Bhakti, o religione devozionale, nata nell’India del Sud e sviluppatasi successivamente anche nel Nord, con maestri quali Kabir, Chaitanya, Ravidas, Nanak, Mira Bai e molti altri, rappresenta una delle vie di salvezza, accessibile a tutti. Come la definisce lo studioso Renou, la Bhakti è: “Partecipazione affettiva dell’uomo al divino, fede amorosa, devozione emotiva che si manifesta con un desiderio appassionato di unione col Signore, con un abbandono alla volontà divina, con una sottomissione al Signore e agli altri maestri che facilitano l’accesso presso di lui”, Louis Renou, “L’ Induismo”, Xenia,1993, pp.59-60. Il movimento religioso degli Hari Krishna, per esempio, appartiene a questa corrente religiosa. I maestri della Bhakti si esprimevano nelle lingue vernacolari, per essere compresi dal popolo e si opponevano alla religione formale dei bramini, agli idoli, alle pratiche estreme di alcuni asceti e alla discriminazione di donne e fuori-casta. La loro attenzione è posta, soprattutto, sul rapporto diretto del fedele con Dio e non sui riti e sacrifici o sullo studio sterile dei testi religiosi.

Nella Foto: Guru Ravidas all’interno del tempio principale di Seer Govardhanpur, vicino a Varanasi. Foto di Nafees Ahmad

È stato filosofo, poeta e maestro spirituale ma, soprattutto, riformatore sociale; lottò tutta la vita contro il pregiudizio castale e il potere dei bramini.

Nonostante fosse un fuori-casta o Dalit e non avesse quindi accesso all’istruzione religiosa riservata alle caste alte, manifestò fin dall’infanzia una spiccata natura mistica e trascorreva le sue giornate in riva al Gange, ascoltando gli insegnamenti di asceti e maestri spirituali.

Come da tradizione, a 12 anni gli venne data in moglie una ragazza della sua stessa casta e da quel matrimonio nacque un figlio, ma la vocazione religiosa lo spinse presto a dedicarsi completamente alla meditazione e alla predicazione.

Come gli altri maestri della Bhakti, Guru Ravidas si esprimeva con poemi devozionali, 41 dei quali sono stati inclusi nel “Guru Granth Sahib”, il libro sacro dei Sikh.

Secondo alcune biografie di santi medievali, Ravidas fu discepolo di Ramananda, che però non viene mai citato nei suoi versi, mentre compaiono i nomi di altri maestri della Bhakti, come Kabir e Namdev che, come lui, predicavano contro la discriminazione sociale radicata nell’Induismo.

Ramananda, santo vaishnava di Varanasi, pur essendo bramino, accettava tra i suoi discepoli anche membri delle caste basse. È considerato uno dei primi maestri della Bhakti e influenzò molti asceti successivi, usando le lingue vernacolari e non il sanscrito, per essere compreso da tutti. È considerato il fondatore della Sant parampara, “la tradizione dei Sant” dell’India del nord, di cui fecero parte Kabir, Namdev e Mira Bai.

Guru Ravidas apparteneva alla tradizione Nirguna della Bhakti, che concepiva Dio come unico e privo di forma; come gli altri Guru, viaggiò molto per diffondere il suo messaggio, arrivando fino nel lontano Punjab.

Tra i suoi discepoli ci furono, non solo fuori-casta, ma anche bramini, sovrani e nobili, come la principessa e mistica indiana Mira Bai.

Pare che, durante un suo viaggio, abbia anche incontrato Guru Nanak, fondatore del Sikhismo e che sia diventato uno dei suoi maestri; tuttavia, le notizie sulla sua vita provengono da biografie composte alcuni secoli dopo la sua morte e tramandate oralmente dai suoi discepoli, quindi non sono sempre attendibili, però la sua fama era tale, che i suoi scritti vennero inclusi nel “Guru Granth Sahib”, il libro sacro dei Sikh, insieme a quelli di altri importanti maestri della Bhakti.

Ciò spinse i suoi seguaci, per lo più appartenenti alla stessa sua casta, quella dei Chamar, ad avvicinarsi al Sikhismo.

Poiché lavoravano le pelli di animali, i Chamar erano considerati “intoccabili” dalle altre caste; infatti, la lavorazione del cuoio era ed è tuttora considerata una professione impura e contaminante, quindi destinata ai fuori-casta, come del resto le professioni di spazzino, lavandaio o necroforo.

Guru Ravidas utilizzò la Bhakti per lottare in modo pacifico contro il sistema castale e ogni forma di discriminazione; i suoi versi, pieni di fervore religioso e amore incondizionato per il Dio unico e senza forma, riflettono con tale forza il suo bisogno di giustizia sociale, da essere stato definito, da alcuni studiosi, “il Messia degli oppressi ( Ronki Ram : “Ravidass Deras and social protest: Making sense of Dalit consciousness in Punjab, India”, pag.9, in “Journal of Asian studies”, November 2008)

Sulla casta esiste una bibliografia sterminata, a partire dallo studio monumentale di Louis Dumont: “Homo Hierarchicus”, Adelphi, 1991. Spiegare il sistema castale è complesso e richiederebbe una lunga dissertazione. Basti sapere che nell’Induismo esistono 4 caste, dette “varna” in sanscrito, di cui 3 sono dominanti: quella dei Brahmana, bramini o sacerdoti, quella degli Kshatriya o guerrieri e quella dei Vaishya o mercanti; l’ultima casta, quella degli Shudra, è la casta dei lavoratori. Infine, al di fuori del sistema castale, esistono i fuori-casta, o “intoccabili”, che, secondo la tradizione induista, furono espulsi dalla casta a causa di azioni commesse nelle loro vite precedenti. Ognuna di queste 4 caste è, a sua volta, divisa in sotto-caste dette jati e la stratificazione non risparmia neppure i fuori-casta, divisi a loro volta in innumerevoli gruppi, come i Chamar, che continueremo a definire “casta” per semplificazione. Come noto, gli indiani credono nella trasmigrazione delle anime, o samsara, a causa della quale si ereditano i “frutti” delle vite anteriori. Secondo la storiografia moderna, invece, i fuori-casta, o Dalit - tradotto con “spezzati, battuti”, per sottolinearne la condizione di oppressione e umiliazione -, sarebbero discendenti degli abitanti originari dell’India, sottomessi dagli ariani, giunti nel subcontinente intorno alla metà del secondo millennio a.C. Vedere, tra gli altri, Gail Omvedt: “Understanding caste. From Buddha to Ambedkar and beyond”, Orient Blackswan Private Limited, New Delhi, 2011; G. Shah, H. Mander, S. Thorat, S. Deshpande, A. Baviskar: “Untouchability in Rural India”, Sage Publications India Pvt Ltd, New Delhi, 2006 e tutte le opere del Dott. Ambedkar sull’argomento.

Anche Guru Nanak, fondatore del Sikhismo, si opponeva al sistema castale e accettò tra i suoi seguaci molti membri delle caste basse, ma la discriminazione, nel corso del tempo, era prevalsa sui suoi insegnamenti, come, d’altra parte, è accaduto a tutti i movimenti religiosi presenti nel subcontinente.

Il Punjab, luogo di nascita e diffusione del Sikhismo è, oltretutto, lo Stato dell’India col più alto numero di Dalit, che costituiscono circa un terzo della popolazione, come rilevato dai diversi censimenti del Governo indiano (Surinder Jodhka:” The Ravi Dasis of Punjab: global contours of caste and religious strife”, pag. 2, in “Economic & Political weekly”, vol.44, num. 24, 13 Giugno 2009)

Dopo la morte del decimo Guru, riemerse, quindi, la discriminazione e in molte zone rurali del Punjab esistono, ancor oggi, Gurdwara e persino luoghi di cremazione separati per i proprietari terrieri, detti Jat e i Dalit, mentre i matrimoni tra caste sono rarissimi e non ben visti dalla società.

I Jat sono diventati proprietari terrieri, grazie alle leggi emanate dagli inglesi. Il “Punjab Land Alienation Act” del 1900, favorì l’accentramento delle terre del Punjab nelle loro mani, mentre i Chamar e i Dalit in genere vennero esclusi dalla proprietà, costringendoli a lavorare per i Jat. Per ciò che riguarda i matrimoni intercastali, si legga, per es. l’articolo sull’ “HIndustan Times”, 3 /06/2017, che cita il caso di un Jat suicidatosi dopo aver scoperto che sua suocera era Dalit

I Gurdwara vengono, inoltre, da sempre amministrati dalla comunità dei Jat, mentre i membri delle caste basse non sono mai riusciti ad avere un ruolo dirigenziale, se non negli ultimi anni e dopo numerose proteste.

Con l’arrivo degli europei e la dominazione coloniale, arrivarono in India, paradossalmente, anche nuovi ideali di uguaglianza e giustizia sociale, grazie ai missionari cristiani giunti al seguito dei colonizzatori.

Tali ideali contrastavano, ovviamente, con il colonialismo, ma, insieme ai nuovi ideali socialisti, che circolavano in Europa, aprirono la strada al cambiamento all’interno della società indiana.

Gli inglesi contribuirono anche ad un netto miglioramento delle condizioni economiche di alcuni gruppi castali, come quello dei Chamar; commissionando loro scarpe e stivali per l’esercito anglo-indiano, gettarono le basi delle loro prime imprese commerciali, aiutandoli ad emanciparsi economicamente dai Jat.

Alcuni imprenditori Chamar aprirono così scuole, ospedali e luoghi di incontro e l’aggregazione favorì la circolazione delle nuove idee, contribuendo a rafforzare l’autostima della comunità.

Intorno al 1920, nacque il Movimento Ad Dharm, fondato da Mangoo Ram, un riformatore sociale, entrato successivamente in politica, che aveva vissuto a lungo negli Stati Uniti e, al ritorno in India, aveva deciso di dedicarsi al miglioramento delle condizioni di vita dei Dalit.

Erano anni di grande fermento sociale e il Movimento Ad Dharm nacque con l’obiettivo di creare un’identità religiosa separata dalle altre fedi e riservata essenzialmente ai fuori-casta (M. Juergensmeyer “Religious rebels in the Punjab”, University of California Press, Berkeley, 1982).

Proprio negli stessi anni, un Chamar devoto di Guru Ravidas, Sant Pipal Dass, aveva deciso di dedicare la sua vita alla diffusione del suo messaggio; con l’aiuto di un imprenditore Chamar, fondò il primo centro religioso Ravidassia: Dera Sachkhand Ballan, nel villaggio di Ballan, in Punjab.

Gli Ad Dharmi identificarono presto in Guru Ravidas il loro Maestro spirituale e confluirono nel suo movimento religioso, soprattutto a partire dall’Indipendenza.

Lo scisma

A Sant Pipal Dass seguirono altri maestri, detti Sant (Santo), che continuarono la sua opera e in Punjab vennero aperti molti altri Dera, parola persiana che significa “organizzazione socio-religiosa”; questi presto divennero, non solo luoghi dedicati al culto di Ravidas, ma anche centri culturali dediti alla promozione, all’educazione e al riscatto dei Dalit.

L’emigrazione all’estero, iniziata negli anni ‘60, ha, infine, inciso positivamente sulle condizioni economiche e il livello di istruzione della comunità, che si sta emancipando del tutto, soprattutto psicologicamente, dalla propria condizione di inferiorità e sudditanza.

Grazie alle rimesse dei migranti sono state fondate in India scuole, templi, ospedali e università Ravidassia.

È stato creato un gruppo di ricerca per appurare i fatti storici legati alla vita del Maestro e per creare un nuovo testo sacro basato sul suo insegnamento e sui suoi versi, contenuti nel Guru Granth Sahib.

Il processo di lenta separazione dal Sikhismo, cominciato all’inizio del ‘900, arrivò al punto di non ritorno il 24 maggio 2009, quando Sant Ramanand e Sant Niranjan Dass, Capo di Dera Ballan, vennero feriti, insieme ad altri fedeli, da un commando di 6 terroristi Sikh, nel tempio Ravidassia di Vienna. Sant Ramanand morì il giorno successivo e, sebbene l’attacco terroristico sia dovuto a fanatici estremisti e sia stato condannato dalla comunità Sikh, la morte del Sant scatenò disordini e proteste in tutta l’India.

Sant Ramanand è stato ucciso, perché, secondo il Sikhismo, la tradizione dei Guru si interrompe dopo il decimo e non possono esservi altri maestri, se non il libro sacro stesso, cioè il “Guru Granth Sahib”.

La comunità Ravidassia, invece, è guidata, fin dalla fondazione di Dera Ballan, dai Sant e la loro presenza ha creato, fin dal principio, innumerevoli tensioni all’interno della comunità Sikh.

Dopo l’attentato, la rottura è divenuta inevitabile ed è stata annunciata ufficialmente il 30 gennaio 2010 a Seer Govardhanpur, nel luogo di nascita di Guru Ravidas, dove è stato costruito il tempio principale del nuovo movimento religioso.

Dinanzi a centinaia di migliaia di pellegrini, giunti da ogni parte dell’India e dall’estero, è stato dichiarato che: “Poiché i canti di Ravidas sono contenuti nel libro sacro dei Sikh, la comunità si era identificata come Sikh, ma non credeva strettamente nei principi di questa religione, come i 5 k o indossare il turbante”.

I 5 K: Dal nome della lettera iniziale di ogni simbolo: Kesh, capelli lunghi; kangha, il pettine; Kara, il braccialetto; Kachera, pantaloni corti; kirpan, il pugnale.

Sono stati enunciati i principi della nuova religione e l’adozione di un nuovo libro sacro: l’“Amritbani”,

“Parole dolci come il nettare dell’immortalità”, che ha sostituito il “Guru Granth Sahib”, utilizzato fino a quel momento nella liturgia, in quasi tutti i templi Ravidassia, ma non, per esempio, in Inghilterra, dove è ancora usato il Guru Granth Sahib.

Le relazioni coi Sikh sono, per adesso, tranquille e non tutti i Dalit hanno abbandonato il Sikhismo, ma la rottura appare ormai definitiva e difficilmente si tornerà indietro.

Principi della religione Ravidassia

La religione Ravidassia è monoteista; Dio è unico e senza attributi e l’uomo è fatto della sua sostanza: “Tra me e te, tra me e voi, che differenza c’è? La stessa tra oro e il bracciale realizzato in oro, tra l’acqua e le sue increspature” (Amritbani: Shabad 1 (Raag Sree), Ed. Shri Guru Ravidass Janam Ashtam Mandir, Seer Goverdhanpur, Banaras, 2014).

Alla base dell’insegnamento del Guru ci sono i principi di uguaglianza, fraternità e giustizia sociale, condensati in quella che si può definire, forse, la prima utopia indiana, cioè il mito di Begampura,

“C’è una città chiamata Begampura, dove non c’è posto per il dolore e la pena…..Non vi è né peccato, né paura della morte. Ho trovato una dimora eccellente, dove regna incessante la felicità e la sovranità di Dio è eterna. Non vi è nessun cittadino di seconda o terza classe; tutti sono uguali.” ( Amritbani: Shabad 3 -Raag Gauri)

L’obiettivo principale resta la cancellazione della discriminazione castale, presente ancor oggi nella società indiana, nonostante sia stata abolita dalla Costituzione, che venne redatta proprio da un Dalit: Bhimrao Ambedkar, detto Babasahib, la cui immagine compare sempre nei Gurgarh Ravidassia.

In tutti i templi è presente il Langar, cioè la mensa comune, come nei Gurdwara Sikh e si mangia insieme per abbattere le barriere di casta, al contrario di quanto accade comunemente nella società indiana.

Come gli altri maestri della Bhakti, Guru Ravidas si opponeva alla religione formale e ritualistica, alle pratiche estreme di alcuni asceti e allo studio sterile dei testi sacri (tra l’altro vietati alle caste basse e alle donne); il suo obiettivo è la lotta contro il male, inteso, soprattutto, come discriminazione sociale.

Il suo metodo di lotta resta, comunque, sempre pacifico.

I simboli della nuova religione sono due parole, scritte in punjabi o in hindi, poste all’interno di un cerchio: Hari, cioè il nome di Dio e Sohang, che simboleggia l’unità dell’anima con Dio.

Nella foto, il simbolo di Hari, Dio, sulla porta di entrata del tempio principale di Seer Govardhanpur, vicino a Varanasi. Foto di Nafees Ahmad

I Ravidassia non indossano il turbante, ma una sorta di fazzoletto legato sulla nuca e solo all’interno dei templi.

Tempio di Montecchio Maggiore. Foto Giorgia Cantele

Non hanno il pahul o Amrit Sanskar, il battesimo proprio dei Sikh e nemmeno i cosiddetti “5K” e tutti possono leggere l’“Amritbani”, anche le donne.

Ogni anno, a febbraio, si celebra il compleanno di Guru Ravidas e, all’interno dei Gurgarh sono presenti le sue immagini, quelle di Sant Ramananda, assassinato a Vienna e quella del padre della Costituzione Indiana, Babasahib Ambedkar, il primo Dalit che riuscì a laurearsi, simbolo del riscatto della comunità.

Il pronipote di Ambedkar in visita al tempio di Montecchio Maggiore. Foto di Giorgia Cantele

Sono stati aperti diversi Gurgarh in tutti i continenti: non solo in Inghilterra, Canada e Stati Uniti, ma anche in Australia, nel Golfo Persico e in molti paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia.

Il tempio di Montecchio Maggiore, con i ritratti di Guru Ravidas e di Ambedkar, occasione della visita di Sant Krishan Nath. Foto di Giorgia Cantele
Sant Krishan Nath in visita al tempio di Montecchio Maggiore. Foto di Giorgia Cantele

Grazie alle rimesse dei migranti, il loro numero è in costante crescita, così come il numero dei fedeli che, solo in Italia, sarebbero, secondo dati forniti direttamente dalla Comunità stessa, circa 150.000; più della metà degli indiani presenti nel nostro territorio.

Donne nel tempio di Treviso. Foto di Giorgia Cantele

I Gurgarh in Italia sono attualmente 22 e la comunità possiede anche un canale Tv: Kanshi Tv, con base nel tempio di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza.

Nel cortile davanti al tempio di Montecchio Maggiore. Foto di Giorgia Cantele

Dopo l’attentato di Vienna, i Sikh sembrano essersi arresi allo stato di fatto, mentre i Ravidassia continuano a rispettare il Guru Granth Sahib, poichè contiene i canti del loro Maestro e a frequentare, talvolta, i Gurdwara Sikh (difficilmente accade il contrario).

Tempio di Velletri. Foto di Giorgia Cantele

I membri delle due comunità lavorano nelle stesse fabbriche, giocano persino a cricket insieme, ma i Ravidassia sono determinati a proseguire il loro cammino di auto-affermazione ed emancipazione, non solo religiosa, ma anche politica e hanno creato negli ultimi anni, in India, nuovi partiti a maggioranza Dalit.

I templi Ravidassia sono ormai centinaia in tutto il mondo: in Inghilterra, Olanda, Spagna, Francia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Canada e i fedeli sono ormai milioni, segno evidente della fine dell’apartheid, che per millenni ha oppresso una parte del popolo indiano.