Voyage of Time - Il cammino della vita

Viaggio del tempo: il cammino della vita. Il titolo originale - correlato con il sottotitolo, cioè il titolo della versione italiana - propone un’analogia tra tempo e vita. È la vita a viaggiare e questo viaggio della vita fa il tempo, la storia: la nostra storia di inquilini del tempo e della vita. È la vita a fare la storia, la vita di cui noi siamo parte integrante, goccia nell’oceano delle galassie. L’aver dato soggettività alla vita, mediante la narrazione dell’osservazione scientifica, è come aver messo in cattedra la stessa vita, il cui insegnamento non è fatto solo di astrazioni teoriche, ma è la generatività stessa: è pura creatività.

Questa storia narrata dagli senzienti che indagano sulla produzione del big bang, chiedendosi da dove viene il tempo, cosa prima del tempo, quale la sua origine, la sua evoluzione e il suo esito finale, non serve solo a spostare lo sguardo da una narrazione storica, antropocentrica a una ecocentrica, ma a interrogarci sulle fonti del nostro apprendiamo, sul senso e il significato del nostro esistere, l’essere qui?

L’eccesso antropico di un apprendimento egocentrico, che minaccia oggi non tanto la vira, ma il nostro ambiente vitale, dipende dalla considerazione che abbiamo della realtà, da come concepiamo il rapporto tra realtà e conoscenza. La risposta suggerita dal ritornello, martellante, che diventa quasi un grido, è condensato nella parola “Madre”!

Chi è nostra madre? Chi ci ha generato alla vita non solo biologica naturale, ma ontologica? Chi, cioè, genera il senso di ciò che facciamo, il perché viviamo? Chi è la madre? Chi ci nutre e governa, direbbe Francesco d’Assisi?

Certo: chi a creato le condizioni per la nostra esistenza, la vita della nostra vita, è la vita stessa dell’universo nel suo viaggiare lungo il tempo, nel suo generare il tempo!

Lo abbiamo appreso questo? In quale stadio siamo del nostro apprendimento? Che non abbia preso il sopravvento la conoscenza sulla realtà, il pensiero sui sensi, la ragione sul sentimento? Chi è la madre che ci introduce nella vita e genera il senso, che orienta le nostre azioni le nostre decisioni?

Le conoscenze ancestrali africane o amazzoniche o asiatiche non apprendono mediante il filtro cartesiano, ma tramite riti, simboli, emozioni, che l’epistemologia occidentale considera carenti di oggettività scientifica. Le tassonomie e le gerarchizzazioni della conoscenza e delle forme di civiltà sono davvero ancora accettabili, per un apprendimento, che intende sostenere una governance equa? Non ci sarà necessità di una nuova epistemologia, di un nuovo apprendimento, di una nuova democrazia del sapere? Non si potrà cominciare a concepire un pensiero emotivo o un emozione pensante, che si proponga come nuovo giro di boa della storia dell’apprendimento, paradigma inedito del conoscere e dell’edificare una nuova pace?