A 60 anni da Nostra Aetate:
I "Ghost writers" di Nostra Aetate
Il Concilio nasce da un’idea di papa Giovanni XXIII che, al termine della Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani nel gennaio del 1959, ne annuncia la convocazione quale ventunesimo concilio ecumenico della Chiesa Cattolica. Inizialmente viene nominata una commissione preparatoria, presieduta dal papa, con il compito di definire gli argomenti da trattare durante le sessioni plenarie del Concilio.
Si apre ufficialmente l’11 ottobre 1962 nella Basilica di San Pietro e Giovanni XXIII pronuncia il celebre discordo Gaudet Mater Ecclesia (“Gioisce la Madre Chiesa”) in cui indica lo scopo di questo evento:
[…] occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.
L’atteggiamento prevalente che il Concilio esprime è quello dialogico e non dogmatico: la dimensione relazionale della salvezza, intrinsecamente espressa nella Trinità, si specchia nel dialogo della salvezza per tutti gli uomini.
Il Vaticano II si è svolto in quattro sessioni, la prima guidata da Giovanni XXIII dall’indizione fino alla sua morte (ott. 1962 – 3 giugno 1963), le successive sono state guidate da Paolo VI (8 dicembre 1965, conclusione del Concilio).
Il Concilio ha promulgato quattro Costituzioni, tre Dichiarazioni, tra le quali Nostra Aetate e nove Decreti.
Genesi del documento sulle religioni non cristiane
Il Concilio Vaticano II ha inaugurato un rapporto di apertura e dialogo verso le altre religioni, nato per estensione da quello originatosi con Israele, come reazione della coscienza cristiana moderna all’antisemitismo. La sensibilità di papa Roncalli sull’argomento nasce sia dal ruolo di nunzio in Turchia e dall’incontro con lo storico francese, già presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana francese, Jules Isaac (m. 1963) a cui aveva concesso udienza privata nel 1960. Di conseguenza a questo incontro viene dato l’incarico al cardinal Augustin Bea (m. 1968), segretario del neonato Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani (5 giugno1960) di indagare sull’argomento. Il Segretariato aveva redatto un primo testo molto breve sulle religioni e sull’ebraismo in particolare, che risultava essere il IV capitolo di uno schema intitolato De oecumenismo, seguito da un V intitolato De libertate. Nella seconda sessione (settembre-dicembre 1963), vengono discussi e votati i primi tre capitoli sull’ecumenismo. Tra una sessione e l’altra, il Segretariato rielabora il testo, dando origine a una dichiarazione separata, sempre comunque entro il decreto sull’ecumenismo. Il documento, così come inserito nello schema sull’ecumenismo, aveva dato origine a polemiche e osservazioni, soprattutto da parte dei padri orientali del mondo arabo, che non vedevano opportuno un capitolo sugli ebrei a causa delle relazioni tese tra i due popoli. Si ricordano numerosi attacchi da parte di giornali del mondo arabo contro la dichiarazione e addirittura un intervento della Lega araba che chiedeva una netta presa di posizione contro Israele e il sionismo, ma non contro la religione ebraica in quanto tale, estraniando quindi la dichiarazione da qualsiasi fazione politica. In aggiunta a questo, anche in seno alla chiesa stessa vi era chi riteneva gli ebrei responsabili della morte di Cristo (deicidio), la cui negazione avrebbe contraddetto la Sacra Scrittura e la Tradizione.
La quarta sessione (settembre-novembre 1964)
Durante la quarta sessione (settembre-novembre 1964) la discussione si è concentrata sulla terza redazione del testo che aveva preso il titolo di “Schema della Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane” ed era articolata in cinque paragrafi:
- un preambolo;
- il primo su induismo e buddismo;
- il secondo sull’Islam;
- un terzo sugli ebrei;
- una conclusione sulla fraternità universale.
Il testo viene votato dai Padri e si riscontrano alcune novità, ovvero, che esso è ora un documento a sé stante con un proprio titolo, non un’appendice né del decreto sull’ecumenismo né inserito nel secondo capitolo del De Ecclesia (vedi LG 16) o uno schema che concerneva la Chiesa nel mondo contemporaneo.
Nel 1964 avvengono anche tre fatti nuovi che, in qualche modo, incideranno sull’ultima fase del Concilio e sono: il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa (gennaio); la creazione del Segretariato per i non cristiani (maggio) e l’enciclica programmatica Ecclesiam Suam (agosto). Il testo è proclamato ufficialmente nella settima sessione del IV periodo (28 ottobre 1965).
50° ANNIVERSARIO NOSTRA AETATE
I “ghost writers” di NA3
Prima che la dichiarazione finale prendesse vita, una sottocommissione dedicata all’Islam era stata composta ed era stata incaricata di redigere la parte dedicata ai musulmani. Due attenzioni si era prefissa: quali punti della dottrina musulmana mettere in rilievo e i termini che li esprimevano, alla luce del fatto che il documento sarebbe stato tradotto in arabo. Questa sottocommissione era composta dai Padri bianchi dell’allora Pontificio Istituto di studi orientali in Tunisia, ora noto come PISAI (Pontificio Istituto di Studi arabi e d’Islamistica, Roma) e da Domenicani dell’Istituto di studi orientali del Cairo (IDEO). Questi erano per parte dei Padri bianchi: Jacques Lanfry (1910-2000); Joseph Cuoq (1917-1986), che nel 1964 aveva assunto la responsabilità della Sezione Islam entro il Segretariato vaticano per i Non-Cristiani; Pierre Duprey (1922-2007), che lavorava al Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani e dello stesso segretariato si erano aggiunti Jérôme Hamer (1916-1996) e Jean Corbon (1924-2001) dell’eparchia greco-melkita di Beirut; mentre l’unico domenicano era il padre Georges Anawati. Anche Robert Caspar, consultore del neonato Segretariato, era stato coinvolto nella redazione di quello che diventerà il punto numero 3 di NA completamente dedicato all’Islam.
Nostra Aetate nr. 3: la Chiesa e l’Islam
Per la prima volta, in un documento della Chiesa, il Magistero prende posizione sull’Islam, che non è più oggetto di condanna, ma è preso in considerazione come religione in quanto tale.
Nostra Aetate 3:
La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede Islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.
L’Islam è presentato come la religione più vicina alla rivelazione giudaico-cristiana, senza specificare tuttavia in che relazione si trovi con questa rivelazione. Infatti, in virtù degli elementi che lo accomunano con questa tradizione, l’Islam viene ad esser parte della tradizione biblica e l’Islam è frutto dello sforzo umano e quindi una religione naturale. Per evitare qualsiasi considerazione teologica su questa religione che possa dare adito a questioni di difficile risoluzione, NA si rivolge direttamente ai musulmani, cioè ai credenti, senza proporre un’interpretazione cristiana di esso. Il capitolo sull’Islam potrebbe essere diviso in due parti: una prima parte sulla dottrina musulmana che comprende riferimenti al monoteismo, all’attitudine del credente, Gesù e Maria, l’escatologia, la vita morale e il culto; una seconda parte sugli atteggiamenti pratici a cui il Concilio invita cristiani e musulmani.
1) L’Islam ha nell’assoluto monoteismo il centro di tutta la fede. L’adorazione del Dio unico si manifesta anche nei suoi 99 nomi più belli, tra i quali il Concilio sceglie quelli più vicini alla sensibilità cristiana e che sono più affini al credente musulmano. Tra questi è stato aggiunto quello di “misericordioso” per calcare l’accento sulla capacità di perdono di Dio, quindi di lasciare il passato alle spalle. Un Dio che parla qualifica l’Islam come religione rivelata: essa è adesione alla parola di un Dio che parla nella storia degli uomini. Inoltre, l’accento è messo sulla sottomissione del credente e Abramo è citato come tipo e modello della fede Islamica. Gesù, considerato solo un profeta nel Corano, è ricordato attraverso i privilegi unici che gli sono riservati, ovvero, quello di essere “parola di Dio” e “spirito di Dio”, sebbene non gli sia riconosciuta la figliolanza divina. Maria, largamente citata nel Corano, è tenuta in grande considerazione, ma è privata del privilegio unico di essere Madre di Dio. Così come predicato dal profeta Muhammad e creduto dai musulmani, sono ricordati la fede in Dio, nei suoi angeli, nelle scritture, nei profeti, nella predestinazione e nell’ultimo giorno. La vita morale si concretizza nell’obbedienza a Dio espressa nella legge rivelata nel Corano e esplicitata dai giuristi. Relativi al culto sono invece la preghiera, il digiuno e l’elemosina quali atti di adorazione.
2) Il documento esorta a dimenticare le incomprensioni del passato, piuttosto spinge a guardare insieme agli stessi problemi e a conoscersi vicendevolmente a partire dall’informazione e dalla dottrina. Inoltre, insieme vanno promosse la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Discretamente si allude all’universalismo, centrale nel messaggio dell’Islam e al legame linguistico tra la parola “pace” e la parola “Islam”.
La dichiarazione ha avuto una lunga gestazione con varie versioni e riletture che hanno cercato di rendere il documento il più inclusivo possibile. L’attenzione al linguaggio, smussato di ogni possibile ambiguità, ha fatto sì che la Chiesa non prendesse parti politiche, ma che mantenesse la propria neutralità, specialmente nei riguardi del Sionismo e di Israele, correggendo comunque il linguaggio forte con cui nei secoli erano stati apostrofati gli ebrei. Questo documento, pur tralasciando molti punti, sembra rappresentare quasi una sfida profetica più che la descrizione di un dato di fatto reale.