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Sikh Conoscenza

Nasce una nuova religione nell’India del XV secolo. Il Sikhismo

Nel XV secolo, gran parte dell’India del Nord è da tempo governata da dinastie islamiche che si alternano al potere, regnando su territori più o meno vasti. Nel resto dell’India esistono vari regni regionali: piccoli stati islamici indipendenti dalle dinastie del nord e regni induisti, fra cui quello dell’Orissa e il vasto impero di Vijayanagara, nell’India meridionale.

Con il passare degli anni, il potere islamico in India cresce notevolmente. A sud, una coalizione di sultanati distrugge il regno di Vijayanagara, mentre il nord subisce l’invasione di Bābur (la Tigre), sovrano di un piccolo principato dell’Afghanistan. È questi un valente condottiero, discendente di Tamerlano e di Genghiz Khān che, nel 1526, dà inizio al regno dei Moghul. Un grande impero che, con alterne vicende, vivrà per oltre tre secoli e comprenderà, nel periodo della sua massima estensione, un territorio vastissimo: dall’Afghanistan al Kashmir incluso e dal Gujarat all’Orissa, arrivando a dominare gran parte dell’India meridionale.

Fig. 1. Cartina India XV e XVI secolo. Storia Universale Feltrinelli.

A questo complesso quadro storico corrisponde una ancor più complessa situazione religiosa.

Alla fede islamica si oppongono i vari sentieri della tradizione induista (Śivaismo, Viṣṇuismo, Śaktismo), tutti permeati da quella corrente devozionale, nota come bhakti che, già secoli prima, promuovendo l’idea di un dio personale e il rapporto diretto con esso, aveva avuto un grande impatto sulla società indiana.

Fu proprio dalle radici della bhakti che erano sorti diversi movimenti di rinnovamento religioso, sia induisti che islamici, con una spiccata tendenza mistica. Spesso i loro fondatori, oltre ad essere dotati di un’intensa spiritualità, erano anche cantori e poeti.

Un’altra religione presente in quel periodo, ma ridotta ad una minoranza, è il Jainismo che per secoli aveva avuto un ruolo tutt’altro che trascurabile. Il Buddhismo, invece, è già quasi scomparso dall’India. In questo contesto storico–religioso, attorno al 1500, nasce nell’India settentrionale una nuova religione: il Sikhismo, il cui fondatore fu Gurū Nānak, dove il nome Gurū significa Maestro.

Fig. 2. Ritratto di Gurū Nānak, pittura ad olio, autrice Mrs. Hemant S. Singh Pasrich. © Mrs. Hemant S. Singh Pasrich

Mistico, poeta e cantore della gloria dell’unico Dio, eterno, creatore di tutte le cose, Nānak fu senza dubbio una figura di spicco dell’India post-medievale.

Era nato nel 1469 nei pressi di Lahore, capitale del Punjab (la ‘Terra dei cinque fiumi’, nel nord ovest dell’India), da famiglia di tradizione induista. Fin da fanciullo, Nānak aveva manifestato una profonda sensibilità religiosa, che andava al di là delle convenzioni e delle pratiche religiose esteriori. Infatti, si rifiutò di sottostare ai complessi rituali prescritti dalla fede induista e amava intrattenersi con persone appartenenti a varie tradizioni religiose del suo tempo, in particolare musulmani e induisti.

Si narra che, in seguito ad un’esperienza mistica, Nānak cominciasse a predicare la fede in un Dio unico, eterno, creatore di ogni cosa. “Non ci sono indù, né musulmani”, egli proclama, e già si scorgono i fondamenti di quella che sarà una nuova Fede, nata in un contesto religioso eterogeneo, ma dalla peculiare identità.

Priva di fanatismo, intolleranza e di qualsiasi forma di violenza, la nuova Fede contempla un’idea comune alla gran parte delle tradizioni religiose dell’India, vale a dire la reincarnazione: tutti gli uomini sono soggetti a continue morti e rinascite (saṃsāra), condizionate dal loro agire (karma).

Per liberarsi da questo ciclo doloroso e giungere a Dio, Nānak indica un sentiero che, sebbene presenti punti di contatto con altre religioni, specialmente con alcune tradizioni mistico-devozionali dell’epoca è assolutamente originale. Esso, infatti, scaturisce dalla ricca interiorità e dalla chiara visione del Maestro, che è un mistico dotato di straordinarie intuizioni pratiche.

Il sentiero verso il divino tracciato da Gurū Nānak è basato sull’interiorità individuale e sostenuto da semplici principi dottrinali:

  • Tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, senza distinzione di casta, di genere e di censo.
  • La via verso la liberazione prevede una sincera e intensa partecipazione del devoto verso il Divino, sotto la guida del Maestro.
  • Occorre distruggere le tendenze negative della natura umana (ira, avarizia, lussuria, avidità, superbia), sviluppando valori etici quali la compassione, la verità, il servizio reso alla comunità (sevā), il lavoro onesto.
  • Si deve nutrire per Dio un’intensa devozione (bhakti), sostenuta dalla preghiera, dal canto devozionale (kīrtan) e, soprattutto, dal ‘ricordo’ del divino, attuato mediante la ripetizione consapevole del Nome di Dio (nām-simaraṇ), i cui principali appellativi sono: “L’Eterno” (Akāl Purakh), “Colui che è Senza Forma” (Niraṅkar).
  • È fondamentale la guida di un Maestro (Gurū), in cui sia presente lo spirito divino del Supremo Maestro (cioè Dio), che sostiene e vivifica il percorso di ogni devoto con il dono della Grazia.

Per diffondere la sua Fede, si narra che Nānak intraprese lunghi viaggi attraverso l’India del nord e l’Asia; percorse circa 16.000 km e dovunque andasse, una folla di seguaci si radunava intorno a Lui, formando una nuova Comunità. Essi furono chiamati Sikh, una forma Punjabi del sanscrito śiṣya, che significa ‘discepolo’.

Per diffondere la sua Fede, si narra che Nānak intraprese lunghi viaggi attraverso l’India del nord e l’Asia; percorse circa 16.000 km e dovunque andasse, una folla di seguaci si radunava intorno a Lui, formando una nuova Comunità. Essi furono chiamati Sikh, una forma Punjabi del sanscrito śiṣya, che significa ‘discepolo’.

Per un approfondimento:

I dieci maestri della tradizione Sikh

Prima di morire, Nānak designò come suo successore il fedele discepolo Bhai Lehna che, con il nuovo nome di Aṅgad, sarebbe divenuto il secondo Gurū della Comunità Sikh.

A Gurū Aṅgad successero altri otto Maestri in forma umana, intermediari fra Dio e gli uomini. In tutto, i Gurū della tradizione Sikh furono dieci.

Fig. 3. I dieci Maestri della tradizione Sikh. © Tiziana Lorenzetti
  1. Gurū Nānak (1469-1539).
  2. Gurū Aṅgad (1504-1552). Iniziò a raccogliere gli inni composti da Gurū Nānak e ne scrisse anche di propri. Istituzionalizzò l’usanza, già praticata dal suo predecessore, di servire gratuitamente cibo ai bisognosi, ai pellegrini e agli ospiti.
  3. Gurū Amar Dās (1479-1574). Continuò la raccolta dei componimenti, in prosa e poesia, dei Maestri precedenti, che ordinò in due volumi.
  4. Gurū Rām Dās (1534 -1581). Intraprese, al centro del Punjab, lo scavo di un bacino sacro: Amrit Sarovar, il ‘lago di ambrosia’. Poco distante, pose le fondamenta di una nuova città, Amritsar, che sarebbe divenuta la città santa dei Sikh.
  5. Gurū Arjan (1563-1606). Ingrandì il bacino sacro e, al centro di questo, iniziò la costruzione di un tempio, l’Harimandir Sahib, che più tardi sarebbe stato chiamato il ‘Tempio d’ Oro”, perché rivestito di lamine d’oro. Poeta e letterato, Gurū Arjan completò la raccolta delle opere dei suoi predecessori, aggiungendovi componimenti di mistici induisti e musulmani. Queste opere furono poi riunite in un Libro sacro, l’Ādi Granth. Gurū Arjan fu mandato a morte mentre era trattenuto alla corte dell’imperatore Moghul Jahāngir, divenuto sospettoso della crescente consistenza della Comunità Sikh. Egli è il primo martire della storia Sikh.
  6. Gurū Har Govind (1695-1644). In seguito al martirio del suo predecessore, Har Govind consentì ai seguaci della Comunità di portare con sé armi per la difesa personale e per la libertà della propria Fede. Da allora, la Comunità sarebbe stata armata. Egli viene raffigurato con due spade, rispettivamente simbolo dell’autorità spirituale (pīrī) e del nuovo ruolo temporale (mīrī) assunto dalla Comunità. Durante il Suo governo si ebbero scontri contro le forze Moghul.
  7. Gurū Har Rāi (1630-1661). Fu un grande studioso dalla natura meditativa.
  8. Gurū Har Kriṣen (1656-1664). L’ottavo Gurū fu un fanciullo che rimase al vertice della Comunità solo tre anni poiché morì a otto anni di età.
  9. Gurū Tegh Bahādur (1621-1675). Intraprese lunghi viaggi in gran parte dell’India per diffondere la Fede Sikh. Nel corso di questo periodo tornò ad accrescersi l’ostilità Moghul nei confronti dei Sikh. L’imperatore islamico Aurangzeb decretò la morte del Gurū Tegh Bahādur per decapitazione.
  10. Gurū Govind Siṅgh (1666-1708). Fu un grande riformatore. Nel 1699 decise l’istituzione del Khālsā, la ‘Comunità dei Puri’, costituita da guerrieri pronti a combattere e a morire per la propria Fede. L’adesione a questo nuovo ordine religioso avveniva mediante un rito iniziatico che prescriveva ai partecipanti un codice di condotta che essi s’impegnavano ad osservare.

Il Khālsā, la ‘comunità dei puri’ e i simboli della fede

L’emblema del Khālsā è costituito da una lama a due tagli, inserita in un cerchio, a sua volta circondato da due lame ricurve, simbolo, rispettivamente, dell’autorità temporale (mīrī) e di quella spirituale (pīrī).

Fig. 4. L’emblema del Khālsā.

L’ingresso nel Khālsā è sancito da una cerimonia di iniziazione, nel corso della quale il capo del devoto viene asperso con acqua consacrata, che si rimescola con una lama a doppio taglio. I Puri s’impegnano all’osservanza di un codice di condotta. Ogni Sikh di sesso maschile, entrato a far parte del Khālsā, adotta il cognome di Siṅgh (‘leone’), o aggiunge al proprio cognome tale denominazione.

Gli iniziati al Khālsā portano indosso cinque segni distintivi, noti come ‘le cinque k’, poiché i loro nomi iniziano tutti con la lettera k.

  1. keś barba e capelli lunghi, che si raccolgono sulla sommità del capo e vengono coperti da un turbante, che li rende immediatamente riconoscibili in ogni parte del mondo, dove sono apprezzati per la loro pacifica integrazione e per l’impegno nel lavoro.
  2. kaṅghā piccolo pettine di legno per raccogliere i capelli in modo ordinato.
  3. kaṛā braccialetto di acciaio al polso destro, che rappresenta il controllo morale delle azioni e il ricordo costante di Dio
  4. kach/kacchera indumento intimo costituto da pantaloni sopra il ginocchio
  5. kirpāṇ spada, spesso sostituita da un coltello di piccole dimensioni.

Govind Siṅgh fu l’ultimo Maestro Sikh. Egli, infatti, non designò un successore; decretò invece che, dopo la sua morte, la successione dei Gurū personali dovesse concludersi. Da allora in poi, il Maestro sarebbe stato misticamente presente nella Sacra Scrittura, l’Ādi Granth, il ‘Libro Originario’, noto anche come Gurū Granth Sāhib, ‘il Libro che è Signore e Maestro’.

La nascita del Khālsā viene commemorata ogni anno il 14 Aprile, durante la festività di Vaisakhi, che coincide con la primavera ed è anche la festa del raccolto.

Per un approfondimento:

Fig. 5. L’ Ādi Granth, il Libro sacro dei Sikh. Foto di Tiziana Lorenzetti

L’ Ādi Granth, il libro sacro dei Sikh.

Il Libro sacro dei Sikh, come la Bibbia per i Cristiani e il Corano per musulmani, rappresenta la guida spirituale dei Sikh e svolge un ruolo fondamentale per la coesione della Comunità e per la formazione dell’identità Sikh. Il Libro raccoglie gli scritti, in prosa e poesia, dei Gurū della Comunità, ma anche componimenti di mistici induisti e musulmani.

La sua prima compilazione risale al quinto Gurū Arjan che, nel 1604, lo collocò all’interno del Tempio d’Oro, il primo santuario Sikh, situato nella città sacra di Amritsar, nel Punjab.

La forma definitiva del Libro venne stabilita dal decimo Gurū, Govind Siṅgh, verso la fine del diciassettesimo secolo.

La lingua del Libro viene denominata gurbāṇī, ‘la lingua dei detti dei Gurū’. Essa è basata sugli idiomi Punjabi e Hindi, con altre influenze linguistiche di diversa provenienza.

La scrittura viene detta gurmukhī (‘dalla bocca del Gurū’), un alfabeto modellato sulla scrittura più diffusa nell’India del nord, la devanāgarī.

Ogni tempio Sikh (Gurdwara) contiene una copia del Libro sacro. Esso è posto su un altare, sotto un baldacchino, come si conviene a una autorità religiosa. Durante alcune festività, il Libro viene portato in processione.

Fig. 6. il Libro sacro viene portato in processione, Amritsar. Foto di Tiziana Lorenzetti
Fig. 7. Il Tempio d’Oro ad Amritsar. Foto di Tiziana Lorenzetti