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Islam Pastorale

La libertà di culto come via di Pace nel dialogo interreligioso con l’Islam

Cosa fare?

“La cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; La conoscenza reciproca come metodo e criterio”

(Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune)

Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. Visita alla Gran Moschea dello Sceicco Zayed, 04/02/2019. Fonte: media.famigliacristiana.it

Quesiti:

Tanto la psicologia normativa quanto la ricca e complessa realtà socio-religiosa italiana si trovano in un lento processo di assestamento vicendevole e di graduale incontro in base ai limiti e alle necessità di entrambe. Al di là di questo: che ruolo giocano le nostre comunità diocesane nel favorire l’incontro tra comunità civile e comunità musulmana? O, nello specifico, come il diritto alla libertà di culto può diventare un luogo di incontro e di sostegno per i nostri fratelli e sorelle di fede islamica? Cosa significa per un cristiano farsi garante che un proprio fratello o sorella di fede islamica possano godere di uno spazio legittimo destinato al culto?

Moschea Mohammad Al-Amin e Cattedrale Maronita di San Giorgio – Beirut, Fonte: lebanoninapicture.com

Obiettivi:

La Pace rischia di assomigliare ad un obiettivo utopico e raggiungibile solo dopo aver utilizzato strategie ottimali per risolvere gravi problematiche e spaccature sociali. I contrasti e le divisioni devono essere letti in un’ottica di opportunità e non di scarto: la Pace è la chiamata a convivere, ad accettare e trasformare con gli occhi di Dio la complessità del reale.

Criticità:

  • Ai sensi dei “principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” (art. 118 Cost.) la normativa vigente affida alla discrezionalità legislativa delle singole Regioni l’amministrazione della materia di libertà religiosa nelle sue varie fattispecie, tra le quali l’esercizio del culto (riforma del Titolo V - 2001);
  • l’iter ai fini di diventare enti di culto prevede il passaggio per diverse istituzioni: la Prefettura (1), il Ministero dell’Interno (2), il Consiglio di Stato (3) e il Consiglio dei Ministri (4). L’ultimo riconoscimento di un ente di culto musulmano risale al 1974 – la Grande Moschea di Roma (Centro Islamico Culturale d’Italia);
  • i culti scevri da intesa con lo Stato Italiano sono regolati da una legge che risale al 1929, n.1159, circa un secolo fa e dal Regio Decreto del 1930, n.289 (entrambi in epoca pre-repubblicana);
  • l’Islam, nello specifico, fatica a far rientrare la sua identità di religione tanto in un ordine gerarchico costituito da autorità religiose (nel linguaggio giuridico “i ministri di culto”), dato che l’imam non è di per sé una figura clericale, quanto ad accordare le varie correnti e gruppi che caratterizzano la umma – basti solo pensare alla differenze che intercorrono tra Sunnismo, Sciismo e Confraternite Sufi, e tra lingue, nazionalità e scuole giuridiche diverse – in un’unica istituzione o soggetto giuridico;
  • le comunità musulmane preferiscono mimetizzarsi scegliendo di presentarsi come centri culturali, gruppi o associazioni - regolati dunque dal Codice Civile – e occultare la propria natura religiosa.

Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione - Direzione Centrale degli Affari dei Culti. Ministero dell’Interno: “Religioni, Dialogo, Integrazione”, vademecum.

STRUMENTI DI ANALISI:

Prerequisiti:

Il primo passo da fare quando ci si affaccia nella pastorale ecumenico-interreligiosa è chiedersi in maniera onesta, realistica ma anche paziente: con quanta serietà le nostre comunità tendono a costruire la casa “sulla roccia” (Mt 7, 24-27)? Nel senso: quanto si “investe” – a livello di tempo e di opportunità pastorali – sulla lettura e condivisione della Parola di Dio, sulla cura dei Sacramenti, delle relazioni comunitarie così come sulle attività di carità e di servizio?

In questo passaggio non serve un’analisi statistica ma una semplice e immediata percezione del livello di radicamento in Cristo (Col 2,7) dell’essere e dell’agire delle nostre comunità come “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32). Se la casa infatti non è radicata nelle fondamenta farà fatica ad essere prima di tutto un luogo stabile nei periodi critici e di difficoltà, ma soprattutto una casa pericolante non è in grado di accogliere altre persone al suo interno: è inagibile.

Il farsi prossimi alle necessità dell’altro mette infatti in discussione le nostre certezze e incertezze, in breve, la nostra identità: come viene percepito il diritto di libertà di culto di altre confessioni, come l’Islam, dalle nostre comunità cristiane?

Mezzaluna e croce Fonte: © Wilhei / Pixabay

Di cosa abbiamo paura?

In base alle analisi e agli studi compiuti tanto socialmente che prestando ascolto alle comunità cristiane stesse, le paure percepite in merito alla libertà di culto possono essere riassunte come segue:

  • Paura che l’associazionismo religioso islamico abbia scopi terroristici: “una delle motivazioni del dibattito è che, in tempi di terrorismo e di attentati sul suolo europeo, le moschee possano rappresentare luoghi di aggregazione e di organizzazione di gruppi radicali promotori di azioni cruente” (SNA – Ministero dell’Interno); “la costruzione di luoghi di culto musulmani ha alimentato preoccupazioni per la sicurezza pubblica, per la provenienza dei finanziamenti e quindi per il controllo della comunità, per le attività non culturali” (“Quattordicesimo Rapporto sulle migrazioni 2008”). Il problema dunque verte sulla paura che la moschea diventi luogo di attacchi, cospirazioni terroristiche o in generale di attività non rituali e di non chiara identificazione (multifunzionalità delle moschee);
  • Paura del proselitismo: la da’wa - la chiamata all’Islam, una sorta di missionarietà islamica volta all’annuncio dei contenuti della fede. Si ha spesso paura che il fornire maggior strutture e sicurezze alla comunità musulmana sia come servire un assist a loro vantaggio in vista dell’annuncio dell’Islam e, di conseguenza, una maggior probabilità che cittadini italiani, magari anche cristiani, si convertano all’Islam;
  • Paura di perdere la propria identità: è connessa alla paura che la presenza considerevole di un gruppo unito e ben radicato nella propria identità morale e/o religiosa – forse percepito anche come più radicato - metta a rischio l’identità e la stabilità altrettanto morale e/o religiosa delle nostre comunità cristiane. In poche parole che avvenga uno scontro di paradigmi sociali e che questo “clash of civilizations” porti ad un vincitore (“loro”) e ad un perdente (“noi”);
  • Paura di ciò che non si conosce in senso lato: non è chiaro cosa avvenga in moschea né cosa sia l’Islam. Non si ha mai visto un rito islamico né si capiscono le prediche che vengono fatte principalmente in lingua araba o in altre lingue (in base alla provenienza principale dei fedeli). L’Islam appare come un buco nero fatto di norme morali e giuridiche totalmente distanti dalle nostre (come la questione del velo o il ruolo della donna). La conoscenza base di questa religione è dubbia, contraddittoria, passa attraverso i media e non si ha un’esperienza diretta – o più esperienze - in seno ad una o più comunità musulmane. La complessità del pluralismo religioso appare come una frammentarietà in conflitto (che fa aumentare la paura dell’ignoto) piuttosto che come una diversità generatrice di opportunità e di crescita reciproca.
Fedeli musulmani in preghiera su strada. Atto di reclamo come segno della mancanza di luoghi di culto. Torpignattara (Roma) Fonte: Marcello Scopelliti

STRUMENTI DI LAVORO:

Come rispondere alle paure da operatori pastorali?

  • Paura che l’associazionismo religioso islamico abbia scopi terroristici: anche i musulmani ne hanno paura.
Il terrorismo esecrabile che minaccia la sicurezza delle persone, sia in Oriente che in Occidente, sia a Nord che a Sud, spargendo panico, terrore e pessimismo non è dovuto alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame, di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza.

(Doc. sulla Fratellanza Umana)

A questo proposito è consigliabile: (1) conoscere – (2) cercare – (3) andare e vedere – (4) incontrare

“Terrorism was never justified by the Prophet Mohammadsa”, 13th Annual Peace Symposium organised by the Ahmadiyya Muslim Community, Morden (UK) 2016.

CONOSCERE: le morti causate da attacchi suicida avvengono prevalentemente nelle moschee. Secondo il “2023 Global Terrorism Index” i primi cinque paesi più colpiti a livello mondiale sarebbero Afghanistan – Burkina Faso – Somalia – Mali – Siria. Il primo paese europeo – esclusa la Turchia da considerare euroasiatica – sarebbe la Grecia al trentunesimo posto, a seguire la Francia, al trentaquattresimo, e la Germania al trentacinquesimo. L’Italia compare al cinquantatreesimo posto. Nonostante la percentuale numerica sia bassa, tuttavia, il grado di percezione è superiore.

È vero poi che la moschea non è solo un luogo in cui avvengono riti, ma è anche un centro multifunzionale destinato ad attività di formazione religiosa, culturale, di incontro informale o di sostegno allo studio (come avviene spesso nelle moschee collocate in paesi non arabi). Allo stesso modo però si pensi alla vasta gamma di attività offerte dai nostri oratori o centri parrocchiali che, oltre a funzioni religiose o catechetiche stricto sensu, spaziano dall’insegnamento di strumenti musicali, al teatro o ad attività sportive. La parrocchia diciamo che è il centro della vita della comunità cristiana e potremmo dire che anche le moschee giocano questa funzione nell’Islam.

Centro Astalli ODV: “Luoghi in dialogo – Percorsi interreligiosi a Roma – Moschea” (2020):

Oltre ai dati – anche quelli passati - che non sempre placano l’inquietudine, bisogna ricordare che l’atteggiamento da tenere è proprio quello indicato da Gesù quando disse: “siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). Il rischio che le moschee vengano utilizzate come luogo di complottismo terroristico è reale e va preso sul serio con intelligenza e prudenza, ma d’altronde, bisogna anche dare “a Cesare quello che è di Cesare” (Mt 22,21 ma anche Rm 13, 1-5) e lasciare che siano gli organi responsabili della sicurezza pubblica statale ad occuparsene. Per quanto utopistico sia ancora ritenuto da molti, il Vangelo è proprio l’amore che disarma e non solo la capacità di indagare, mettere giustizia e punire chi sbaglia. Ordinare la realtà e prendere le distanze dal male è un investimento utile ma a volte insufficiente e a breve termine, ha un costo maggiore, in termini di fatiche, rispetto ad amare e costruire ponti, che è invece un investimento senza dubbio a lungo termine ma che richiede prima di tutto il saper identificare quei ponti distrutti e feriti.

CERCARE: saper individuare nel proprio territorio diocesano tutte le moschee/sale di preghiera/centri culturali presenti (fare una vera e propria mappatura) e stimare approssimativamente se la proporzione fra numero di fedeli e luoghi di culto sia in equilibrio o se c’è invece una carenza di moschee/sale di preghiera. È importante che un operatore diocesano volto al dialogo sappia quali sono i punti nevralgici vissuti dalle comunità musulmane presenti sul territorio;

ANDARE E VEDERE/FARSI VEDERE: il modo migliore per capire e diminuire il disagio relativo a certi timori ovviamente è l’incontro. Recarsi fisicamente – sempre “a due a due” (Lc 10,1) – dopo aver contattato un amico o conoscente musulmano che vive nella comunità musulmana che si intende conoscere e poi chiedere di farsi presentare ad un responsabile o all’Imam. Ascoltare e vedere in prima persona cosa avviene in una moschea;

CREARE OCCASIONI DI INCONTRO a piccoli gruppi e poi incontri intercomunitari: partendo dunque da piccoli gruppi in visita, per passare poi alle parrocchie e a visite scolastiche (intere classi in visita in moschea o invitare esperti a parlare nelle scuole).

Lezioni sulla coesistenza tra cristiani e musulmani in Giordania. L’artista musulmana Izdehar Soub e Padre Boulos Baqaeen parlano davanti al murale dipinto dall’artista nella chiesa di San Giorgio, fuori Karak, in Giordania, una città in cui cristiani e musulmani hanno vissuto in armonia per più di un millennio. Fonte: Taylor Luck – The Christian Science Monitor.

PAURA DEL PROSELITISMO: impegnarsi per la rievangelizzazione delle nostre comunità prima di tutto e poi annunciare la Buona Notizia a quei fratelli e sorelle che non conoscono Cristo. Come annunciarlo? La risposta ovviamente appartiene in toto allo Spirito, ma possiamo individuare delle buone vie.

SERVIRE e LASCIARSI SERVIRE: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27). L’annuncio del Vangelo ai nostri fratelli e sorelle di fede islamica è auspicabile che cominci con il “giovedì santo”. Che questa sia una fase di servizio disinteressato dove l’amore di Dio passi attraverso la nostra sincera amicizia (Gv 15,13) e l’impegno delle nostre facoltà in risposta alle concrete necessità di chi incontriamo: il qui ed ora. Per questo bisogna essere attenti ai bisogni delle comunità musulmane e alle condizioni materiali di vita vera e propria. Molto spesso la presenza di stranieri si colloca proprio “alle periferie” delle nostre città. Come cristiani siamo chiamati dunque a farci voce e garanti della loro inclusione nei benefici delle politiche pubbliche e servizi basilari come l’istruzione, il lavoro e la sanità, senza dimenticare che anche la presenza di luoghi di culto dignitosi (non garages o scantinati) andrebbero a vantaggio di una coesistenza sociale pacifica e sicura. Allo stesso tempo è altresì importante saper ricevere amicizia, amore e farsi piccoli, bisognosi anche noi: “minori” [Mt 25, 40, 45 e FF 1076]. Nel Documento sulla Fratellanza Umana troviamo infatti scritto: “Il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture”;

Cristiani e musulmani in Africa Sub-Sahariana. Un cattolico prega durante la messa a Kano, in Nigeria; un gruppo di fedeli musulmani celebrano la fine del Ramadan in una moschea di Lagos. Fonte: a sinistra, Chris Hondros/Getty Images; a destra, Pius Utomi Ekpei/AFP/Getty Images.

L’ANNUNCIO con le parole, lo “spiegare” di Emmaus (Lc 24,27), in cui abbonda la conoscenza teologica come l’esperienza di fede, è una fase che, specialmente verso i nostri fratelli e sorelle di fede islamica, può avvenire dopo la fase precedente, o comunque dipende molto dal grado di apertura al dialogo che si manifesta nella relazione. Rifacendosi ad un detto attribuito a San Francesco d’Assisi: “predicate il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!”. Questo tipo di carità tuttavia è un dono da chiedere e implorare, è un dono dello Spirito. Lo stesso dono che permise agli apostoli di uscire dal cenacolo e predicare la Buona Notizia a popoli di diversa cultura, lingua e tradizione.

PAURA DI PERDERE LA PROPRIA IDENTITÀ: pregare lo Spirito Santo; conoscere i limiti della libertà religiosa: la coscienza e la legge; promuovere azioni di interesse comune per una cittadinanza inclusiva o “cittadinanza di prossimità”:

PREGARE lo Spirito Santo che conduca le nostre comunità all’incontro sincero con Lui e a riscoprire la nostra identità di Figli di Dio, amati, ricevuta con il Battesimo. Promuovere una pastorale che affronti il pericolo e curi intellettualmente e spiritualmente ciò che non è chiaro o che risulti essere percepito come fortemente ambiguo nelle proprie comunità (i grandi “scogli” che ogni diocesi è cosciente di avere);

Dio è amore. Scritta in inglese, in arabo e in ebraico su un muro del quartiere cristiano della città vecchia di Gerusalemme Est. Fonte: Alicia-Rae Light

CONOSCERE I LIMITI: la globalizzazione spaventa, tuttavia “chi sente con forza la propria identità non teme che sia intaccata da altri” (Mons. Vincenzo Paglia). Farsi prossimi nell’assicurare che un fratello o una sorella estingua un suo diritto non significa perdersi in un’altra identità o contraddire il messaggio evangelico, ma è un modo speciale di essere “soggetti” all’altro senza smettere di confessare il proprio “essere cristiani” (Rnb FF 43): la Dignitatis Humanae mostra chiaramente l’esistenza del netto confine tra diritto (DH 4,6) e limiti (DH 7) della libertà religiosa. È infatti proprio la mancanza di limiti alla libertà altrui – specialmente se si tratta di un gruppo con identità poco chiara – che mette paura. I limiti vengono definiti in base a quanto connesso alla “responsabilità personale e sociale” e alle norme giuridiche di un ordinamento, che prevedono l’azione di un potere civile legiferante riconosciuto come autorevole. Il fine è “l’ordine pubblico”, la tutela della “pace” dagli “abusi che si possono verificare sotto il pretesto della libertà religiosa”. In questo caso ci si affida dunque alla “coscienza” (CCC 372) e alla “legge”: si incoraggiano gli operatori pastorali a conoscere bene e a saper poi comunicare la legge vigente in materia di libertà di religione e di culto emanata dalla Regione di appartenenza. Conoscere i limiti fa decrescere la paura e il sospetto.

Tavola di Ifṭār tra signore Ifṭār (la rottura del digiuno durante il mese di Ramadan) condiviso tra donne Al-Matariyya – Egitto Fonte: Hmkree

RISCOPRIRSI CITTADINI: prendendo ispirazione dalla Laudato Si’, dalla Fratelli tutti, e di certo dalla Dottrina Sociale della Chiesa promuovere attività pastorali che mirino a rafforzare l’identità che ci accomuna: l’essere cittadini chiamati alla cura del creato (ecologia integrale) o della cosa pubblica in senso lato. Progettare insieme – cristiani e musulmani - eventi che abbiano a cuore il bene comune (come eventi di attivismo ecologico, sindacale in difesa dei lavoratori, caritatevole e solidale, ma anche eventi sportivi, culturali come cinema e teatro) e coordinarsi con altri uffici diocesani ad esempio quello della Pastorale Sociale e del Lavoro, la Caritas Diocesana, la Pastorale Giovanile e Familiare. La presenza dei cristiani nella vita politica della diocesi appaia come chiamata all’inclusività dei socialmente “lontani” e delle minoranze religiose (“destinazione universale della dottrina sociale” DSC 84). Offrire a qualcuno la possibilità di amare – specialmente se questo qualcuno è percepito come distante o “pericoloso” – è il miglior assist che si possa servire da cristiani.

PAURA DI CIÒ CHE NON SI CONOSCE IN SENSO LATO: “la conoscenza reciproca come metodo e criterio” (Doc. Fratellanza Umana). L’incontro interpersonale o di gruppo e lo studio sono i mezzi migliori per lasciare che siamo anche noi stessi a dialogare con i nostri dubbi più profondi.

CHIEDERE E CONOSCERE: Si consiglia vivamente di favorire programmi diocesani in cui siano previste conferenze, dibattiti, tavole rotonde incentrati su temi di diversità religiosa e quindi rituale, senza aver paura di “sollevare polveroni”. Che sia “la carità nella verità” (Ef 4,15) a permette che non si esca fuori dai binari che conducono al dialogo e alla Pace. Si approfitti di periodi sacri all’Islam come il mese di Ramadan durante il quale sarebbe bello condividere il valore di cibo e bevande nella rottura serale del digiuno quotidiano (Iftar), delle feste come l’Eid al-fitr, che segna la fine del Ramadan, Eid el-Adha in cui si ricorda il sacrificio – per i musulmani – d’Ismaele o di riflettere insieme sulla figura di Gesù, riconosciuto come Profeta, e Maria, onorata e invocata anche nell’Islam.

La Giornata per il dialogo cristiano-islamico (il 27 ottobre), la Giornata Internazionale della Fratellanza Umana (il 4 febbraio) o la Giornata mondiale per la pace (il primo gennaio) sono altre iniziative su cui edificare la pastorale diocesana volta al dialogo ecumenico e interreligioso.

LA COMPLESSITA’ DELLA PACE:

“Le religioni [hanno] un ruolo nella costruzione della pace mondiale” in quanto “la fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare”, “non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue”

(Doc. Fratellanza)

Materiale promozionale per la Giornata Internazionale della Fratellanza Umana

Utilizzando le parole stesse della Chiesa possiamo sintetizzare così la relazione tra libertà di religione/di culto e la pace (definita anch’essa come un “diritto” - DSC 518):

  • “La pace è frutto della giustizia” (Is 32,17) e “la pace è in pericolo quando all'uomo non è riconosciuto ciò che gli è dovuto in quanto uomo” (DSC 494): per questo come cristiani siamo chiamati ad impegnarci per promuovere i diritti della persona (PiT 38-39). D’altronde riconoscere il diritto di culto delle comunità musulmane equivale indirettamente a riconoscere la loro stessa esistenza;
  • la pace non è solo frutto della giustizia, ma anche della carità: «vera pace è cosa piuttosto di carità che di giustizia, perché alla giustizia spetta solo rimuovere gli impedimenti della pace: l'offesa e il danno; ma la pace stessa è atto proprio e specifico di carità» (DSC 494);
  • la Chiesa insegna che una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono e dalla riconciliazione (DSC 517): è importante individuare quei contesti sociali, presenti nelle nostre diocesi, feriti e da curare. L’essersi riconosciuti nelle paure sopra elencate, dunque il sentirsi turbati nell’incontro con fratelli e sorelle appartenenti ad altre comunità e confessioni religiose, non è un impedimento alla Pace. La percezione che ogni operatore pastorale o, in senso lato, ogni cristiano potrebbe sentire non è sbagliata. È semplicemente un punto di partenza che nasce spesso da un’esperienza fatta sia direttamente che indirettamente. Ciò che conta è la scelta, ed è questa che va compiuta con l’aiuto di Dio e della Chiesa, la quale non stanca di metterci accanto numerose forme di sostegno al discernimento e all’agire, tanto con una direzione ecclesiale (domestica) quanto ecumenica o interreligiosa (in uscita, verso altre comunità).

È Dio che “costruisce la casa” (Sal 126,1) e la protegge (Mt 16,18b).

Alcuni testi, video, film per approfondire:

  • ANGELUCCI A. (2014), “Uno statuto per le associazioni musulmane” in Angelucci A., Bombardieri M., Tacchini D. (a cura di), Islam e Integrazione in Italia, Marsilio, Venezia, pp. 205-219;
  • BOMBARDIERI M., “Le moschee al cuore del dialogo tra comunità islamiche e amministrazioni locali”, in Giorda M.C. e Bossi (a cura di), Islam a Torino, Fondazione Benvenuti in Italia, 2017;
  • BOMBARDIERI M., “Moschee d’Italia. Il diritto al luogo di culto. Il dibattito sociale e politico”, EMI, Bologna 2011;
  • BUSELLI MONDIN P., “Moschee e minareti nel Canton Ticino: tra diritto islamico e libertà religiosa” in Gerosa L., Müller L., Ferrari S. (a cura di), Annuario Direcom, EUpress FTL, Lugano 2009;
  • FERRARI S., “Le moschee in Italia tra ordine pubblico e libertà religiosa”, in Franco Angeli Quattordicesimo Rapporto sulle migrazioni 2008, , Milano, 2009;
  • FERRARI S., “E’ possibile costruire una moschea in Italia?”, in Aluffi Beck-Peccoz R. (a cura di), Identità religiosa e integrazione dei musulmani in Italia e in Europa, G.Giappichelli Editore, Torino 2008, pp. 35-53;
  • PAGLIA V. MONS., “Non chiediamo alle religioni di proteggere le nostre paure, ma impariamo la civiltà della convivenza” e CAVANA P., “L’edilizia di culto e il problema moschee” in Ministero dell’Interno (a cura di), Libertà civili, Roma 2011, pp. e pp. 69-77;
  • Meeting mondiale sulla Fraternità Umana, 10 giugno 2023;
  • Moschea a Milano, Scola: “Libertà di culto per tutti”;
  • “Mawlana” (anche “The Preacher”) di Magdi Ahmed Ali (2016). Film in arabo con sottotitoli in lingua inglese.