Loading

Ortodossia Conoscenza

La Cattedrale Greco Ortodossa di Alessandria, Egitto

Sinodalità e Primato: introduzione e significato

Il 9 giugno 2023 è stato pubblicato ad Alessandria d'Egitto un importante documento dal titolo Sinodalità e Primato nel secondo millennio e oggi, che costituisce il frutto del lavoro della Commissione internazionale mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa (nel suo insieme) e riveste un particolare significato per i rapporti ecumenici tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse di tradizione bizantina, poiché rappresenta un primo tentativo di rilettura comune del periodo della storia della Chiesa che più ha visto consumarsi divisioni e allontanamento tra Oriente e Occidente.

Il documento è pubblicato sul sito del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani in lingua inglese. Una traduzione italiana ne è stata offerta dal periodico “Il Regno – Documenti” (13/2023), reperibile (solo per gli abbonati).

Nel corso di queste pagine proporremo una nostra parziale traduzione del documento originale in lingua inglese.

Il documento di Alessandria si pone come la seconda tappa di un percorso iniziato diversi anni fa e che ha visto nel 2017 la pubblicazione di un primo testo dedicato al primo millennio della Chiesa e all'emergere dei temi della Sinodalità e del Primato come essenziali per la vita della Chiesa e per la stessa comprensione della Fede cristiana.

Rileggiamo delle parti salienti del documento del 2017, dal titolo: Sinodalità e Primato nel Primo Millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all'unità della Chiesa (Chieti, 21 settembre 2016).

L’intero documento (comprese le note che qui per lo più omettiamo) si può consultare a questo link.

Chieti, Cattedrale di San Giustino
1. La comunione ecclesiale nasce direttamente dall’incarnazione del Verbo eterno di Dio, secondo la benevolenza (eudokía) del Padre, per mezzo dello Spirito santo.

Cristo, venuto sulla terra, ha fondato la Chiesa come suo corpo (cfr. 1 Corinzi, 12,12-27). L’unità esistente tra le persone della Trinità si riflette nella comunione (koinonía) dei membri della Chiesa tra loro. Così, come ha affermato san Massimo il Confessore, la Chiesa è un éikon della santissima Trinità. Durante l’ultima cena Gesù Cristo ha pregato il Padre: «Custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» (Giovanni, 17,11). Questa unità trinitaria è manifestata nella santa Eucaristia, dove la Chiesa prega Dio Padre per Gesù Cristo nello Spirito santo.

2. Sin dai primordi, la Chiesa una esisteva come molte Chiese locali.

La comunione (koinonía) dello Spirito santo (cfr. 2 Corinzi, 13,13) era vissuta sia in seno a ogni Chiesa locale sia nelle relazioni tra di loro come unità nella diversità. Sotto la guida dello Spirito (cfr. Giovanni, 16, 3) la Chiesa sviluppò modelli d’ordine e pratiche varie, conformemente alla sua natura di «popolo che fonda la sua unità nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» (S. Cipriano).

Il documento si apre con due affermazioni fondamentali: la prima riguarda il fatto che la comunione ecclesiale non può essere compresa semplicemente come un fattore sociologico o – per quanto conveniente – di ordine morale, utile per avere un ordine; bensì, al contrario, rappresenta una delle caratteristiche che manifestano il suo essere immagine della Trinità, e dunque realtà divinoumana, direttamente fondata nella e totalmente relativa alla divinoumanità di Cristo, così come ci è dato di conoscerla nell’Incarnazione. La seconda affermazione sottolinea poi come la feconda e necessaria tensione tra unità e molteplicità non tocchi soltanto i singoli membri della Chiesa in quanto individui, ma sia presente anche nel rapporto tra Chiese locali e Chiesa universale.

I paragrafi 3 e 4 definiscono cosa si intenda per sinodalità e per primato, e per questo vengono riportati interamente.

3. La sinodalità è una qualità fondamentale della Chiesa nel suo insieme.

Come ha detto san Giovanni Crisostomo: «“Chiesa” significa sia assemblea [sýstema] sia sinodo [sýnodos]». L’espressione deriva dalla parola “concilio” (sýnodos in greco, concilium in latino), che denota in primo luogo un’assemblea di vescovi, sotto la guida dello Spirito santo, per la deliberazione e l’azione comuni nella cura della Chiesa. In senso lato, si riferisce alla partecipazione attiva di tutti i fedeli alla vita e alla missione della Chiesa.

4. Il termine primato si riferisce all’essere primo (primus, prótos).

Nella Chiesa il primato appartiene al suo Capo, Gesù Cristo, «principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato [protéuon] su tutte le cose» (Colossesi, 1, 18). La tradizione cristiana mostra chiaramente che, nell’ambito della vita sinodale della Chiesa a vari livelli, un vescovo è stato riconosciuto come il “primo”. Gesù Cristo associa questo essere “primo” con il servizio (diakonía): «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Marco, 9, 35).

Una volta chiarito il significato dei due termini, il documento riconosce come la loro diversa interpretazione e comprensione sia stata direttamente correlata con le divisioni e la rottura della comunione avvenute tra Oriente e Occidente, e come sia pertanto necessario riprendere il cammino interrogando la storia, per poterne cogliere il senso teologico e costruire così una lettura comune del rapporto tra sinodalità e primato, con particolare attenzione al primo millennio che risulta fondamentale poiché “malgrado alcune fratture temporanee, all’epoca i cristiani d’Oriente e d’Occidente vivevano in comunione e, in quel contesto, furono costituite le strutture essenziali della Chiesa” (n. 7). In questo modo sarà possibile un cammino di vera ricerca dell’unità.

Il prosieguo del documento descrive le dimensioni fondamentali della sinodalità e del primato partendo innanzitutto dalla Chiesa locale quale reale manifestazione della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

È da notare quanto sia importante che la prima, essenziale determinazione del rendersi presente della Chiesa nella storia sia individuata nella celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo: vediamo qui come sia essenziale il radicamento di questa “ecclesiologia eucaristica” nell’epoca subapostolica, con la citazione di sant’Ignazio di Antiochia, e come sia proprio da questo contesto che si parta per comprendere il senso e la funzione del “presidente”, evidenziandone innanzitutto la funzione di servizio alla fede dei credenti e la necessaria interrelazione con essi.

La sottolineatura del ruolo del vescovo nel rappresentare la propria Chiesa locale davanti alle altre Chiese locali, e di rendere presente la comunione da lui sperimentata con gli altri vescovi (e con le loro Chiese locali) nella propria comunità, apre la strada alla considerazione della “comunione regionale delle Chiese”, ovvero del sorgere storico dei rapporti tra le Chiese locali vicine insieme alle strutture che ne rendono ordinata e possibile la reciproca immanenza. È in questo contesto che si riconosce il sorgere del primato nella scelta – tra i vescovi di una regione – del protos (“primo”) che fosse insieme espressione e garante della comunionalità e della corresponsabilità, e si sottolinea come la prima forma storica di sinodalità si manifestasse nel necessario consenso e concorso di almeno tre vescovi circonvicini in occasione dell’ordinazione di un loro nuovo confratello, scelto sovente dall’assemblea del clero e del popolo della Chiesa locale.

La Chiesa locale

8. La Chiesa una, santa cattolica e apostolica della quale Cristo è il capo è presente oggi nella sinassi eucaristica di una Chiesa locale sotto il suo vescovo.

È lui che presiede (proestós). Nella sinassi liturgica, il vescovo rende visibile la presenza di Gesù Cristo. Nella Chiesa locale (vale a dire nella diocesi), i molti fedeli e il clero sotto l’unico vescovo sono uniti tra di loro in Cristo e sono in comunione con lui in ogni aspetto della vita della Chiesa, specialmente nella celebrazione dell’Eucaristia. Come insegnava sant’Ignazio di Antiochia, «dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c’è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica [katholiké ekklesía]». Ogni Chiesa locale celebra in comunione con tutte le altre Chiese locali che confessano la vera fede e celebrano la stessa Eucaristia. Quando un presbitero presiede l’Eucaristia, il vescovo locale viene sempre ricordato in segno di unità della Chiesa locale. Nell’Eucaristia, il proestós e la comunità sono interdipendenti: la comunità non può celebrare l’Eucaristia senza un proestós, e il proestós, a sua volta, deve celebrare con una comunità.

9. Questa interrelazione di proestós o vescovo e comunità è un elemento costitutivo della vita della Chiesa locale.

Insieme al clero, che collabora al suo ministero, il vescovo locale agisce in mezzo ai fedeli, che sono il gregge di Cristo, quale garante e servitore dell’unità. Quale successore degli apostoli, egli esercita la sua missione come impegno di servizio e di amore, custodendo la sua comunità e guidandola, come suo capo, verso un’unità sempre più profonda con Cristo nella verità, conservando la fede apostolica attraverso la predicazione del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti.

10. Poiché il vescovo è il capo della sua Chiesa locale, egli rappresenta la sua Chiesa dinanzi alle altre Chiese locali e nella comunione di tutte le Chiese.

Allo stesso modo rende questa comunione presente nella sua Chiesa. È questo un principio fondamentale di sinodalità.

11. Ci sono prove in abbondanza che i vescovi nella Chiesa dei primordi erano consapevoli di avere una responsabilità comune per la Chiesa nel suo insieme.

Come ha detto san Cipriano, c’è «un solo episcopato, diffuso in una moltitudine armonica di molti vescovi». Questo vincolo di unità era espresso nel requisito che almeno tre vescovi partecipassero all’ordinazione (cheirotonía) di un nuovo vescovo; era anche evidente negli incontri multipli di vescovi in concili o sinodi per discutere di questioni comuni di dottrina (dógma, didaskalía) e di prassi, nonché nei loro frequenti scambi epistolari e nelle visite reciproche.

12. Già durante i primi quattro secoli si formarono diversi raggruppamenti di diocesi in regioni particolari.

Il prótos, il primo tra i vescovi della regione, era il vescovo della prima sede, la metropoli, e il suo ufficio di metropolita era sempre legato alla sua sede. [...]

13. Il Canone apostolico 34 propone una descrizione canonica della correlazione tra il prótos e gli altri vescovi di ogni regione [éthnos]:

«I vescovi di ciascuna nazione debbono riconoscere colui che è il primo [prótos] tra di loro, e considerarlo il loro capo [kephalé], e non fare nulla di importante senza il suo consenso [gnóme]; ciascun vescovo può soltanto fare ciò che riguarda la sua diocesi [paroikía] e i territori che dipendono da essa. Ma il primo [prótos] non può fare nulla senza il consenso di tutti. Poiché in questo modo la concordia [homónoia] prevarrà, e Dio sarà lodato per mezzo del Signore nello Spirito santo».

14. L’istituzione della metropoli è una forma di comunione regionale tra Chiese locali.

In seguito si svilupparono altre forme, vale a dire i patriarcati comprendenti diverse metropoli. […] Questo modo di agire è alla radice delle istituzioni sinodiche nel senso stretto del termine, come il sinodo regionale dei vescovi. Questi sinodi venivano convocati e presieduti dal metropolita o dal patriarca. Lui e gli altri vescovi agivano in mutua complementarità ed erano responsabili dinanzi al sinodo.

L’ultima parte del documento prende in esame l’emergere di strutture sinodali e di figure primaziali al livello della Chiesa universale. Nonostante proprio questo tema sia quello più controverso, ad esempio nell’interpretazione del ruolo della sede di Roma in relazione al primato di Pietro, si riconosce come l’emergere dei cinque patriarcati e del loro ordine vedesse parimenti lo sviluppo delle assemblee conciliari e lo strutturarsi di forme di appello alla sede gerarchicamente superiore, che tuttavia non misconoscevano la necessità di promuovere innanzitutto la comunione ad ogni livello, compreso quello più elevato dei cinque Patriarchi.

15. Tra il quarto e il settimo secolo, si iniziò a riconoscere l’ordine (táxis) delle cinque sedi patriarcali,

basato sui concili ecumenici e da essi sancito, con la sede di Roma al primo posto, esercitando un primato d’onore (presbéia tes timés), seguita da quella di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, in questo ordine preciso, secondo la tradizione canonica.

16. In Occidente, il primato della sede di Roma fu compreso, specialmente a partire dal quarto secolo, con riferimento al ruolo di Pietro tra gli apostoli.

Il primato del vescovo di Roma tra i vescovi fu man mano interpretato come una prerogativa che gli apparteneva in quanto era successore di Pietro, primo tra gli apostoli. Questa comprensione non fu adottata in Oriente, che aveva su questo punto un’interpretazione diversa delle Scritture e dei Padri. Il nostro dialogo potrà ritornare su tale questione in futuro.

17. Quando veniva eletto un nuovo patriarca in una delle cinque sedi della táxis, era prassi comune che inviasse una lettera a tutti gli altri patriarchi, annunciando la sua elezione e includendo una professione di fede.

Tali “lettere di comunione” erano un’espressione profonda del vincolo canonico di comunione tra i patriarchi. Includendo il nome del nuovo patriarca, secondo il giusto ordine, nei dittici delle loro chiese, letti durante la liturgia, gli altri patriarchi riconoscevano la sua elezione. […] Ogni volta che due o più patriarchi si riunivano per celebrare l’Eucaristia, si ponevano secondo la táxis. Questa prassi manifestava la natura eucaristica della loro comunione. [...]

19. Nei secoli sono stati rivolti numerosi appelli al vescovo di Roma, anche dall’Oriente, su questioni disciplinari, come la deposizione di un vescovo. […]

Appelli in materia disciplinare furono rivolti anche alla sede di Costantinopoli e ad altre sedi. Tali appelli alle sedi maggiori furono sempre trattati in modo sinodico. Gli appelli al vescovo di Roma dall’Oriente esprimevano la comunione della Chiesa, ma il vescovo di Roma non esercitava un’autorità canonica sulle Chiese d’Oriente.

Cartina dei Patriarcati Orientali (in una mappa del XIX secolo)

La conclusione del documento è anch’essa preziosa, perché riconosce innanzitutto i tratti unitari e positivi della concreta attuazione di sinodalità e primato nella chiesa del primo millennio, nonostante le difficoltà storiche, e vede nel riferimento a questa storia il punto necessario da cui partire per cercare forme di comunionalità anche nel presente.

20. Per tutto il primo millennio, la Chiesa in Oriente e in Occidente fu unita nel preservare la fede apostolica, mantenere la successione apostolica dei vescovi,

sviluppare strutture di sinodalità inscindibilmente legate al primato, e nella comprensione dell’autorità come servizio (diakonía) d’amore. Sebbene l’unità tra Oriente e Occidente sia a volte stata complicata, i vescovi di Oriente e Occidente erano consapevoli di appartenere alla Chiesa una.

21. Questa eredità comune di principi teologici, disposizioni canoniche e pratiche liturgiche del primo millennio

rappresenta un punto di riferimento necessario e una potente fonte di ispirazione sia per i cattolici sia per gli ortodossi mentre cercano di curare la ferita della loro divisione all’inizio del terzo millennio. Sulla base di questa eredità comune, entrambi devono riflettere su come il primato, la sinodalità e l’interrelazione che esiste tra loro possono essere concepiti ed esercitati oggi e in futuro.

Dal documento del 2017 raccogliamo pertanto la nozione di primato e sinodalità, l’affermazione del principio eucaristico della comunione e dell’autorità che la serve, e la condivisa constatazione che l’unità non si costruisce se non approfondendo quanto già è stato presente nella Chiesa universale e nelle Chiese locali nel primo millennio.

Il logo dell’incontro della Commissione teologica mista a Chieti, nel 2016

Link