"Semi di pace e di speranza”
Semi: una realtà ecologicamente e socialmente strategica
Marco Marchetti (DiAP - Sapienza, Fondazione Alberitalia ETS, Tavolo per il Creato)
I semi hanno infinite e sorprendenti forme. Sanno spostarsi e adattarsi all'ambiente. Sono l'emblema perfetto della vita: un seme, piccolo o grande, contiene tutto ciò che serve per vivere. I semi sono biodiversità, naturale e coltivata, e sono, con la fotosintesi che ha disegnato il pianeta che vediamo, una delle invenzioni vegetali più straordinarie, che permette la vita della gran parte delle piante, la loro riproduzione e propagazione. Sono fondamentali anche per la storia dell’umanità, strettamente connessi fin dall’inizio con l’invenzione dell’agricoltura, 11.000 anni fa.
Ne parliamo troppo poco, perché siamo sempre meno consapevoli dei cicli della vita nella natura di cui siamo parte. Oggi, pieni di protesi tecnologiche, siamo anzi a misurare la sparizione delle specie constatando probabilmente una sesta estinzione di massa: non sappiamo quante entità specifiche esistano nella biosfera (forse 8-9 milioni dicono i tassonomi), ma di certo spariscono, per cause antropiche, al ritmo di centinaia ogni anno. “Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto” (LS33).
E saremo più vulnerabili, senza le opportunità che sicuramente esse potrebbero fornire alle comunità umane. Il declino della biodiversità e degli ecosistemi (l’insieme delle creature) è il primo segnale del degrado della biosfera (il creato).
Quando si analizza l’impatto ambientale di qualche iniziativa economica, si è soliti considerare gli effetti su suolo, acqua e aria, ma non sempre si include uno studio attento dell’impatto sulla biodiversità, come se la perdita di specie o gruppi animali o vegetali fosse poco rilevante (LS35).
L’omologazione e la riduzione di specie riguarda anche la biodiversità coltivata, opera della faticosa e lenta azione dell’uomo nella sua relazione con gli ambienti diversi in cui si è trovato a vivere, e che in Italia ha plasmato paesaggi irripetibili («è incredibile come questa gente si sia costruita i suoi paesaggi rurali come se non avesse altra preoccupazione che la bellezza», H.Desplanques, 1959).
La Sacra Scrittura, esito dei suoi tempi e territori (che sono stati culla dell’agricoltura e della domesticazione delle specie selvatiche), ci ricorda continuamente la bellezza del paesaggio agrario e la relazione speciale con l’uomo: le dimensioni della natura sono riportate quasi sempre alla campagna (che quasi coincide con la terra; il pianeta è rappresentato mai senza l’uomo) e al giardino, pur dando evidenza continua anche alla presenza delle foreste e degli elementi naturali primari (abissi del mare e montagne irraggiungibili).
Negli ultimi 100 anni è scomparso il 75% delle specie vegetali impiegate in agricoltura, e si usano sempre meno varietà su territori sempre più grandi, abbandonando le aree più difficili come le montagne, specie nei paesi ricchi (dipendenti dall’agricoltura altrui).
C’è dunque una forte relazione tra semi e cibo, perché “l’uomo è ciò che mangia” – dice l’aforisma del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach – ed è utile ricordare la rilevanza delle scelte sul cibo in relazione ai grandi problemi del nostro tempo. Il cibo ci collega a conflitti, trade off, connessioni terribili tra agricoltura industriale e produzioni alimentari (per il massimo profitto).
Privative sui brevetti (anche delle sementi) invece che condivisione , e produzioni monocoltura e intensive, portano a incendi e deforestazione (LS38), che sembrano guidare le dinamiche del Sud Globale.
Il problema del pane troverà soluzione quando chi ha qualcosa non lo tiene gelosamente per sé, ma lo mette a disposizione di tutti. È l’imperativo gridato da papa Francesco in LS. Con la condivisione si vince l’”inequità” nella fruizione dei beni della terra; senza di essa e senza provvedere alla sopravvivenza dei poveri si mette a rischio la sostenibilità dell’intero creato.
Eppure questo è il nuovo habitat, quello in cui crediamo sempre più di vivere da padroni invece che da ospiti. Un mondo in cui la fatica naturale degli alberi di ogni specie per riprodursi è aggravata. Essi infatti investono comunque molta energia e subiscono numerosissimi fallimenti prima che un loro seme possa divenire pianta adulta, come narra Gesù nella parabola del seminatore raccontata nei Vangeli sinottici.
Una parte consistente dei semi viene mangiata da insetti e uccelli già sulla pianta. Molti semi, una volta a terra, divengono cibo per altri insetti, uccelli, piccoli e grandi mammiferi, come, ad esempio, succede per le ghiande con i cinghiali. Alcuni semi cadono su rocce o ambienti non adatti alla loro germinazione. Quando il luogo è adatto alla germinazione, è possibile che non sia adatto alla successiva crescita.
E ora, stiamo sottoponendo le stesse foreste ad una disperata gara contro il tempo, ma poiché il riscaldamento climatico minaccia la resilienza degli ecosistemi e procede più velocemente dell’evoluzione biologica. Le specie non equipaggiate con i giusti adattamenti sono destinate a scomparire localmente e a migrare con i loro semi (magari con il nostro aiuto - migrazione assistita, A.Piotti, 2025) verso luoghi più miti, o a perderli senza successo (dopo il passaggio del fuoco, ad esempio). Nel lungo termine infatti, le possibilità di una specie forestale di sopravvivere in un determinato luogo dipendono dalle capacità di adattarsi, cioè di adeguare le caratteristiche genetiche delle future generazioni a nuove caratteristiche ambientali. La possibilità di adattamento dipende dalla diversità genetica esistente in una particolare popolazione, e dalla probabilità che semi e polline con varianti genetiche vantaggiose nel clima del futuro possano immigrare dando vita a nuovi alberi.
Dunque la disponibilità di semi e la loro modalità di dispersione sono cruciali nei sistemi naturali, così come rilevanti sono le modalità di conduzione agricola e zootecnica nelle produzioni agro-alimentari. I semi sono strategici per gli organismi e gli ecosistemi ma essendo anche i motori principali delle filiere agro-alimentari, sono troppo spesso trattate non come commons ma in quanto commodities: il 60% delle aree tropicali deforestate ospita pascoli per i bovini o piantagioni di specie a semi oleaginosi (19%), tra cui dominano la soia (per l’alimentazione animale) e la palma da olio. E poi ci sono il caffé, il cacao, il caucciù. Storie di colonizzazione e neocolonialismo, tutte colture da esportazione e deforestazione importata dai paesi ricchi che solo l’UE sta cercando di contrastare.
Il tempo della speranza dura poco perchè i paesi ricchi vanno per prendere non per dare. La Biopirateria portò, già intorno al 1920, circa 70.000 semi dalla valle del Rio Tapajos a Kew Garden a Londra (ad opera dell’esploratore inglese Henry Wicham); i semi di caucciù - Hevea Brasiliensis, finirono poi in Malesia dove si potevano coltivare per l’assenza di un fungo parassita amazzonico, su milioni di ettari di monocolture, oggi fino al centro della Cina.
D’altra parte, il massimo tempio del moderno sistema alimentare è il supermercato, impero logistico che governa e regola piccoli feudi, con il piglio del grossista sul contadino o la presa del distributore sull’agente di commercio. Con le sue decisioni può decidere destini di braccianti, piantatori e contadini. Perfettamente coniugato con l’agribusiness: solo un pugno di grandi corporations traggono profitti. Un monopolio che minaccia sovranità alimentare e biodiversità agricola. I padroni del cibo sopraffanno i contadini poveri (1mld denutriti) e manipolano i consumatori ricchi (1mld obesi). Ma tante realtà, anche in Italia, non si arrendono.
Le politiche statali hanno ignorato i piccoli e i poveri fin della Rivoluzione Verde. I semi miracolosi costano cari: in condizioni ideali sono successo sicuro (ma con fertilizzanti, acqua, input esterni). Una tecnologia pensata non per i piccoli contadini ma per fornire prodotti a buon mercato per i consumatori urbani, su scala grande (Raj Patel,2011. I padroni del cibo, UEF 8657, p.101).
Ecco perchè i semi devono essere considerati bene comune, perché sono alla base della nostra vita, essenziali alla sopravvivenza del Pianeta. Mettere la nostra esistenza in mano a 3-4 aziende (che sono anche leader globali nella produzione del 60% di concimi, pesticidi e diserbanti) non è giusto oltre che pericoloso, per l’intreccio tra chi produce tanti semi di poche specie e gli input chimici per il suolo. Tutti noi abbiamo un dovere preciso nei confronti dei semi: proteggerli, liberarli e condividerli per tutelare il patrimonio di diversità biologica e culturale che rappresentano, a prescindere dalla convenienza economica. Il percorso ha un punto di partenza: i contadini e la terra. Lo scopo è dare la possibilità agli agricoltori di produrre in modo sostenibile semi sani - sostenendo l’agricoltura biologica e la transizione verso sistemi alimentari eco-compatibili e in grado di rappresentare territori e culture, tutelando la terra e i poveri, innanzitutto (LS139), invertendo le attuali tendenze.
E il tempo del processo, della crescita, è più importante dello spazio, il seme è già inteso come totipotenza di futuro delle piante.
“Bisogna avere fiducia nel potere dei semi, rispose Dieter, li piantiamo più per la salute del mondo che per quella di uomini non ancora nati” (Annie Proulx, 2018. Pelle di corteccia, Mondadori), e bisogna raccontare: “di come un albero di mesquite (Prosopis spp.) di 500 anni cresca in un deserto dei più aridi del pianeta; di come un ippocastano abbia dato speranza ad Anna Frank; di come i semi portati sulla luna siano poi germogliati su tutta la terra; di come potrebbero volerci anni per tornare ad avere la stessa conoscenza degli alberi che la gente aveva un tempo” (Richard Powers, 2019. Il sussurro del mondo, La nave di Teseo)
La vita continua, muori e nasci, non tu individuo ma tu come seme. La nostra (prima) eternità è la vita che continua: foglie cadono per lasciare il posto a nuove foglie; la specie continua con i figli dei figli ed è la stessa dei nostri antenati. Un miracolo dopo l’altro.
Mario Curnis, 2022. Diciotto castagne - la montagna, il bosco, la felicità, Rizzoli
Gli anni non diminuiscono per nessuno, si semina e poi si miete; e poi si semina ancora e si miete di nuovo, e ogni tanto la terra bisogna farla riposare .
L.Bianchi, 2003. La messa dell’uomo disarmato. Nell’anno del Giubileo della Speranza…
Contano il tempo e i processi. Van Gogh nel Seminatore (1888) scambia i colori: il cielo è dorato come la messe matura e la terra che accoglie i semi ha il blu del cielo. Ogni volta che un contadino semina, il cielo viene sulla terra. E il seminatore volge le spalle al tramonto per dirigersi verso un’alba nuova. C’è speranza per il domani.
Bignami et al., 2022. Fraternità, San Paolo ed.
Il discernimento consiste nel capire dove sono i semi per tutti, come nella Chiesa universale.
Ringraziamenti:
Semi di pace e di speranza