INDUISMO

Dialogo - Testimoni Hindu del dialogo

Mohandas Gandhi

Mohandas Gandhi

Nato nello stato del Gujarat da una famiglia di casta bania (commercianti), Gandhi sin da bambino ha respirato il pluralismo religioso. Suo padre apparteneva alla tradizione vaiṣṇava del maestro Vallabha (1479-1531) che identificava in Kṛṣṇa il Signore assoluto. Sua madre Putlibai, invece, apparteneva invece alla pranami sampradāya, una tradizione che cercava di combinare il meglio degli insegnamenti vaiṣṇava della Bhagavadgītā con elementi dell’islam, in particolare del Corano. Numerose erano anche le sue frequentazioni con i monaci jainisti che con l’autodisciplina e la non-violenza (ahiṃsā) frequentavano la casa del padre fin dalla sua infanzia. Viceversa, i contatti con i cristiani rimasero abbastanza superficiali, almeno fino ai suoi anni in Sudafrica.

Ecco come Gandhi tratteggia la sua infanzia religiosa:

Essendo nato nella fede vaiṣṇava dovevo andare spesso al tempio, anche se non mi interessava molto. […] Quello che invece ebbe un grande impatto su di me fu la lettura del Ramayana di fronte a mio padre […]. Nella città di Rajkot ebbi i primi rudimenti della tolleranza tra le diverse tradizioni dell’induismo e delle religioni sorelle. Mio padre e mia madre visitavano il nostro tempio ma anche i templi di Shiva e Rama e spesso noi andavamo con loro. Monaci jaina non di rado venivano a far visita a mio padre […] che s’intratteneva con loro parlando di religione o d’argomenti più mondani. Inoltre, aveva diversi amici musulmani e parsi che discutevano della loro fede mentre lui mostrava interesse e rispetto nei loro confronti. Molto spesso ero presente a questi incontri e tutto ciò m’inculcò una forma di tolleranza per tutte le fedi. Solo il cristianesimo fu un’eccezione. Sviluppai una sorta d’antipatia nei suoi confronti e per una ragione precisa. A quel tempo i cristiani missionari sostavano di solito nelle vicinanze della scuola discutendo a lungo e lanciando invettive sugli hindu e le loro divinità. Non potevo accettare tutto ciò.

M.K. Gandhi, An Autobiograbhy or The Story of my Experiments with Truth, Navajivan Publishing House Ahmedabad 2001, 27-29

Guardando alla vita di Gandhi, potrebbero identificarsi tre fasi diverse del suo impegno nel dialogo tra le religioni:

a) Sudafrica: il risveglio della ricerca religiosa

La dimensione religiosa e del pluralismo religioso, vissute negli anni inglesi in maniera abbastanza superficiale ed inconscia, divennero rilevanti durante la permanenza di Gandhi in Sudafrica. Qui ebbe diverse frequentazioni con cristiani che in maniera diretta gli prospettarono la salvezza unica in Cristo e la conversione al cristianesimo. Gandhi, pur apprezzando la fede autentica e la santità di vita di molti dei suoi amici cristiani, non vedeva però alcuna necessità di convertirsi al cristianesimo perché:

era impossibile per me credere che si potesse andare in paradiso o ottenere la salvezza solo abbracciando il cristianesimo […]. Era impossibile per me considerare il cristianesimo come la religione perfetta o la più grande di tutte le religioni […] ma nemmeno ero convinto che l’induismo fosse tale. […] Quale significato aveva dire che il Veda era la Parola di Dio ispirata? Se era ispirato perché non anche la Bibbia e il Corano?

M.K. Gandhi, An Autobiograbhy or The Story of my Experiments with Truth, Navajivan Publishing House Ahmedabad 2001, 113-114.

La condivisione di questi pensieri infastidì alcuni dei suoi amici cristiani, in massima parte evangelici, non meno del suo fermo convincimento di iniziare uno studio approfondito dell’induismo e delle altre religioni perché gli pareva impossibile abbracciare un’altra religione prima di aver pienamente compreso la propria. Egli cominciò la sua ricerca dalle religioni a lui più affini.

Il jainismo ha un’origine pre-ariana e questo in parte spiega il dualismo realistico tra la materia inerte (ajīva) e la coscienza vivente/spirito (jīva), la negazione di un Dio creatore – ajīva e jīva sono entrambi eterni – e il concetto di liberazione (mokṣa) inteso quale progressivo affrancamento dello spirito dalla materia. Non è un caso, dunque, se Gandhi considerò la religione induista come la progressiva liberazione dell’ātman individuale dai diversi tipi d’attaccamento per realizzare la propria vera natura, cioè la liberazione.

Altri due concetti jaina, oltre quello capitale di ahiṃsā, interessarono il pensiero di Gandhi e rimasero sullo sfondo di molte sue battaglie civili e anche del modo con cui visse il pluralismo religioso: la dottrina della “multiforme pluralità del reale” (anekāntavādā) che rappresenta le diverse possibili letture della realtà, poiché assolutizzare il proprio punto di vista, ovvero scambiare una verità parziale per l’intera verità, è un errore capitale.

La frequentazione del circolo Esoteric Christian Union consentì poi a Gandhi di sviluppare un’idea di cristianesimo diversa dalla versione evangelica che si presentava come l’unica capace di assicura la salvezza. La lettura spirituale più che storica della Bibbia, il profondo convincimento che le sacre scritture fossero le diverse rivelazioni storiche di una categoria universale di religione, spingevano per una visione esoterica e simbolica di Cristo, vero uomo dello Spirito, simbolo dell’umanità perfetta, icona della gloria di Dio.

b) La ricerca della tolleranza

Dal suo ritorno in India nel 1914 Gandhi dovette più volte affrontare il tema del pluralismo religioso sia in concreto, nel corso della sua battaglia per la “ricerca della verità” (satyāgraha), sia dal punto di vista teorico, con diverse riflessioni sul tema. Fortemente pressato dagli hindu che consideravano la sua politica troppo accondiscendente verso i musulmani e il suo atteggiamento molto simpatetico verso i cristiani, ma anche invitato da questi ultimi a chiarire la sua posizione verso il cristianesimo e la conversione, Gandhi si fece promotore della tolleranza religiosa e del dialogo sposando l’idea che: «tutte le religioni sono come fiumi che s’incontrano nello stesso oceano».

Egli fondò la sua idea di tolleranza religiosa partendo da una sicura base hindu a cui aggiunse elementi jainisti (ahiṃsā e anekāntavādā) e buddisti (il Buddha quale maestro della legge morale che regola l’universo), perché non considerava queste religioni estranee all’induismo. Per lui l’induismo era: «grande quanto l’universo e capace di inglobare tutto ciò che di buono c’è in questo mondo» poiché «ciò che di sostanza è presente in qualsiasi altra religione è sempre presente anche in esso» e «non essendo esclusivo, consente ai propri aderenti non solo il rispetto delle altrui religioni ma anche la possibilità di ammirarle ed assimilare ciò che di buono c’è in esse».

Per Gandhi la vera essenza dell’induismo risiedeva nella tolleranza, «radice del dharma della verità», e nella ricerca della verità attraverso mezzi non violenti (ahiṃsā). La potente equazione spirituale tra la Verità e Dio alimentata dalla non-violenza (ahiṃsā), è espressa molto chiaramente nel suo messaggio d’addio presente nell’autobiografia dal titolo eloquente La Storia dei miei esperimenti con la Verità:

La mia uniforme esperienza mi ha convinto che non esiste altro Dio che la Verità; e se ogni pagina di questi capitoli non dichiara al lettore che l’unico mezzo per realizzare la Verità è ahiṃsā, riterrò tutto il lavoro di scrittura di questi capitoli vano.

M.K. Gandhi, An Autobiograbhy or The Story of my Experiments with Truth, p. 419

L’equazione verità e non-violenza diventa per Gandhi il punto di incontro tra tutte le religioni con l’induismo che si configura come la più tollerante perché il suo credo è capace di abbracciare tutto.

c) verso il pluralismo

Nell’ultima fase della sua vita Gandhi supera l’idea dell’induismo inclusivo per arrivare alla considerazione dell’eguaglianza tra tutte le religioni.

Eguaglianza tra le religioni. Questo è il nuovo nome che abbiamo attribuito a quelle regole dell’Ashram che chiamavamo “Tolleranza”. […] La tolleranza potrebbe implicare l’assunzione gratuita dell’inferiorità delle altre fedi rispetto alla propria, mentre Ahimsa ci insegna che lo stesso rispetto riservato alla nostra fede deve essere accordato alle altre, ammettendo così l’imperfezione della nostra stessa religione. Quest’ammissione sarebbe normale per un cercatore della Verità che segue la legge dell’Amore. Se avessimo ottenuto la piena visione della Verità, non saremmo più meri cercatori, ma saremmo uno con Dio, perché la Verità è Dio. Ma essendo solo cercatori, continuiamo il nostro viaggio, consci della nostra imperfezione. […] Se tutte le fedi delineate dagli uomini sono imperfette, la questione dei meriti comparativi non sorge affatto. […] Guardando a tutte le religioni con lo stesso occhio noi non esiteremmo, ma riterremmo invece nostro obbligo, mescolare alla nostra fede ogni caratteristica accettabile delle fedi altrui. Come l’albero ha un solo tronco ma molti rami e foglie, così esiste una sola vera e perfetta Religione, che però diventa molteplice quando interviene la mediazione umana. L’unica Religione rimane oltre tutti i discorsi

M.K. Gandhi, My Religion, 19-20. 

BIBLIOGRAFIA:

  • M.K. Gandhi, The Collected Works of Mahatma Gandhi, voll. 7, 23, 27, 28, 35, 72, 86. (https://www.mkgandhi.org/cwmg.php)
  • M.K. Gandhi, My Religion, Navajivan Publishing House, Ahmedabad, 1996.
  • M.K. Gandhi, An Autobiograbhy or The Story of my Experiments with Truth, Navajivan Publishing House Ahmedabad 2001.

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