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Buddhismo Attualità

Stupa presso l’Istituto Lama Tzong Khapa (Pomaia, PI), Wikimedia Commons

Il buddhismo in Italia

Introduzione

Da qualche decennio l’Italia, al pari delle altre società occidentali, è caratterizzata da un processo di pluralizzazione anche religioso e spirituale ormai stabile. In questo contesto si colloca anche la presenza e la diffusione dei gruppi buddhisti sul territorio italiano. Come ha scritto la sociologa Maria Immacolata Macioti

Il buddhismo, pur non essendo una realtà maggioritaria, in Italia, [è] per più versi interessante, vivace e significativo. In primo luogo, va detto che il buddhismo è ormai diffuso, in molteplici rami, in Occidente. […] Si tratta di una realtà che […] ha inciso non solo sulla cultura, sulla vita quotidiana di molti: ha inciso anche sul paesaggio, poiché oggi in Italia esistono monasteri, centri buddhisti, luoghi di culto molto visibili e consolidati, di varie tradizioni. Esistono nelle grandi città ma anche nelle campagne. Bandiere da preghiera si muovono al vento, piccoli e meno piccoli stupa custodiscono preziose reliquie, e sempre più popolari sono cerimonie quali la preparazione del tè, o addirittura quella del mandala […]. Anche le colorate vesti dei monaci e delle monache, i loro capi rasati sono oggi più tranquillamente accettati di quanto non lo fossero ieri, così come lo è il suono dei tamburi, dei cimbali, delle campane tibetane, delle preghiere.

(Macioti 2018)

Nell’ottica di una corretta ed efficace prassi di dialogo interreligioso con i praticanti buddhisti nel nostro paese, fondamentale e necessaria risulta una buona conoscenza di tale presenza e diffusione nella sua componente socio-fenomenologica e nella sua diversificazione interna. Parlare di “buddhismo in Italia” significa infatti tratteggiare una mappa molto articolata e variegata, e dunque complessa.

Per chi ha il compito della cura pastorale del territorio, alla rilevanza dei dati statistici che emergono da questa mappa si aggiunge un secondo aspetto importante: la presenza significativa e in crescita dei cittadini italiani che scelgono di aderire a una forma religiosa, quale è il buddhismo, “nuova”, in quanto non è parte del patrimonio storico del vissuto religioso nel contesto italiano, europeo e occidentale.

Pagoda della pace (Comiso, RG), Foto di Blisset, Wikimedia Commons

Una mappa articolata

Secondo le statistiche CESNUR 2022 relative alle dimensioni del pluralismo religioso in Italia, all’interno di quel 4,2% di cittadini italiani che appartengono a minoranze religiose, gli appartenenti alla tradizione buddhista si attestano attorno alla cifra di 217.000, pari al 9,7% delle minoranze religiose fra i cittadini italiani. Questo dato tiene conto di 100.000 praticanti dell’area concettualmente rappresentata dall’Unione Buddhista Italiana, 96.100 membri dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, e 20.900 buddhisti di altre tradizioni. L’incremento di quest’area, e in particolare della Soka Gakkai, è il dato più significativo di questo primo scorcio di XXI secolo, se si escludono i fenomeni relativi agli immigrati e ai nuovi cittadini.

Molto più incerte sono le statistiche sulle minoranze religiose presenti sul territorio se si considerano non solo i cittadini italiani ma anche gli immigrati non cittadini. Secondo le stime più realistiche, nel nostro paese risiedono circa 125.000 buddhisti non cittadini italiani, ovvero il 2,4% delle minoranze religiose fra gli stranieri residenti.

Riassuntivamente, sommando i buddhisti cittadini italiani e i buddhisti stranieri residenti in Italia, nel nostro paese ci sono attualmente circa 342.000 fedeli di tradizione buddhista, pari allo 0,6% della popolazione residente.

Si è già accennato a una suddivisione di ampio respiro della presenza buddhista in Italia, distinguendo fra praticanti dell’area concettualmente rappresentata dall’Unione Buddhista Italiana, membri dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e praticanti buddhisti di altre tradizioni. Per quanto in maniera generale e riassuntiva, cerchiamo ora di meglio dettagliare queste presenze, anzitutto con un riferimento di tipo storico e organizzativo.

Uno sguardo alla storia

Naturalmente, la presenza buddhista in Italia è figlia della presenza buddhista in Occidente, dove si considerano presenti oltre 3 milioni di occidentali convertiti, o figli di convertiti, cui si devono sommare oltre 4 milioni di buddhisti “etnici” di origine prevalentemente giapponese, cinese, coreana, indocinese e singalese.

Adottando una griglia interpretativa di tipo storico, nel processo di ricezione del buddhismo in Occidente si assiste alla nascita di vere e proprie comunità solo dopo la prima guerra mondiale, presto sostenuta dal contatto sempre più frequente fra maestri orientali, buddhismo degli immigrati e buddhisti occidentali.

Accanto alle componenti tradizionalmente radicate in Occidente – la scuola theravada e quella zen – cominciano a essere conosciute forme di buddhismo giapponese della tradizione di Nichiren e di quella esoterica shingon, nonché il buddhismo tibetano delle diverse scuole vajrayana. La fuga dal Tibet in Occidente di numerosi maestri tibetani dopo il 1959 e la statura spirituale del XIV Dalai Lama (Tenzin Gyatso), divenuta una figura di grande notorietà internazionale, contribuiscono alla diffusione, dagli anni 1980, della tradizione vajrayana in Occidente.

Il Dalai Lama saluta il gruppo DIM italiano (Milano, 21 ottobre 2016), Foto di Matteo Nicolini-Zani

Tale successo si accompagna anche all’esplosione d’interesse per lo zen negli anni 1960 e 1970, favorito non da ultimo dagli ambienti della controcultura. Questo dilagare di interesse per il buddhismo passa anche per la letteratura e il cinema, dal romanzo Siddhartha di Hermann Hesse (1922) a film come Milarepa di Lilliana Cavani (1974), Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci (1993), Sette anni in Tibet di Jean-Jacques Annaud (1997), Kundun di Martin Scorsese (1997), e altri ancora (cf. Martini 1997).

In Italia maestri buddhisti orientali sono arrivati più tardi rispetto alla Gran Bretagna o alla Francia, sia per la virtuale assenza d’immigrazione, sia per la mancanza di legami coloniali con paesi a maggioranza buddhista. Dopo la seconda guerra mondiale un gruppo di tradizione prevalentemente theravada viene fondato a Torino da Eugenio Frola (1906-1962) e intitolato all’italo-americano Salvatore Natale Cioffi (Lokanatha, 1897-1966), il primo monaco buddhista italiano, figura nota e rispettata in Birmania e in India come monaco itinerante (cf. Colombo 2019).

Salvatore Natale Cioffi, il primo monaco buddhista italiano

Occorre poi ricordare la figura del professor Giuseppe Tucci (1894-1984), insieme insigne studioso e divulgatore, sulla base di un interesse personale, del buddhismo tibetano in Italia. È grazie a Tucci che arrivano in Italia, inizialmente per un lavoro di carattere accademico, due maestri tibetani che eserciteranno un’influenza duratura sulla diffusione del buddhismo vajrayana in Italia: Jampel Senghe e Chögyal Namkhai Norbu.

Ghesce Jampel Senghe (1914-1981) ha insegnato all’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (Is.M.E.O) di Roma, fondato da Tucci, dove ha curato la traduzione e la catalogazione di una vasta biblioteca di testi buddhisti, soprattutto tibetani; ha anche fondato, nel 1980, l’Istituto Samanthabadra di Roma.

Chögyal Namkhai Norbu (1938-2018), giunto in Italia nel 1960, dopo essere stato per molti anni docente di Lingua e letteratura tibetana e mongola presso l’Istituto Orientale di Napoli, dal 1980 è divenuto guida spirituale della comunità Dzogchen, con sede ad Arcidosso (GR).

La presenza buddhista in Italia comincia a farsi notare negli anni 1960, con la fondazione a Firenze dell’Associazione Buddhista Italiana e con la pubblicazione dal 1967 della rivista Buddhismo Scientifico. Negli anni 1970 e 1980 questa presenza cresce, sia con l’influsso di maestri di scuola vajrayana profughi dal Tibet, sia con la diffusione dello zen, che si affianca alla già esistente presenza theravada. Per vie autonome, arrivano in Italia anche gruppi di tradizione Nichiren.

Nel 1982 Vincenzo Piga (1921-1998) fonda i quaderni Paramita (1982-1998), a cui succederà la rivista Dharma (1999-2012).

Taisen Deshimaru, patriarca dello zen soto in Europa (1967), Wikimedia Commons

Degna di essere qui sinteticamente ripercorsa è la diffusione dello zen in Italia, la cui storia può essere distinta in tre fasi. Una prima fase, compresa tra la fine degli anni 1960 e la metà degli anni 1980, è stata animata prevalentemente da allievi diretti o indiretti del maestro giapponese Taisen Deshimaru (1914-1982), il primo vero patriarca dello zen soto in Europa, e tra questi un grande contributo di trasmissione in Italia dell’insegnamento di Deshimaru va particolarmente riconosciuto in questi anni a François-Albert Viallet (1908-1977); tutte le esperienze nate in questa prima fase ebbero in comune un carattere spontaneo e informale. Una seconda fase di diffusione, collocabile tra la seconda metà degli anni 1980 e la seconda metà degli anni 1990, è caratterizzata dall’opera di alcuni maestri che fondarono la loro pratica di maestri e responsabili di centri sulla base di una personale esperienza diretta in monasteri giapponesi e rifacendosi a una tradizione sempre più sentita come riferimento, sia sul piano di un approfondimento della dottrina sia su quello di un radicamento diretto in un lignaggio esistente da cui trarre la propria legittimità. Una terza fase di sviluppo, circoscritta tra la fine degli anni 1990 e gli anni 2000, vede la comparsa di una seconda generazione di maestri e di praticanti che hanno iniziato la loro formazione con maestri italiani e che praticano come responsabili di centri con affiliazione a un lignaggio riconosciuto in Giappone.

L’Unione Buddhista Italiana (UBI)

La spinta unitaria nel buddhismo italiano – con l’idea di un’associazione che, rappresentando tutte le tradizioni buddhiste, si possa porre come tramite per i vari centri e come referente unico del buddhismo italiano di fronte allo Stato – trova negli anni 1980 soprattutto in Vincenzo Piga un convinto e determinato propulsore. È così che nel 1985 si perviene a Milano alla formale costituzione dell’Unione Buddhista Italiana (UBI) con la partecipazione di 9 centri di diverse tradizioni: saranno già 18 nel 1986 e sono 64 nel 2023 – oltre ad altri in attesa di affiliazione –, così suddivisi per tradizione d’appartenenza:

  • 37 Vajrayana
  • 15 Zen
  • 6 Theravada
  • 2 Nichiren
  • 1 Tendai
  • 1 Seon
  • 1 Chan
  • 1 Interbuddhista

I centri aderenti sono prevalentemente dislocati nell’Italia settentrionale, e a essi fa capo la grande maggioranza dei circa 100.000 praticanti italiani, una cifra che – come abbiamo visto – non comprende i buddhisti “etnici” immigrati, i membri della Soka Gakkai e di altre tradizioni.

Tempio del Monastero Santacittarama (Poggio Nativo, RI), Wikimedia Commons

Per norma dello statuto, l’UBI non rappresenta alcun gruppo buddhista particolare, ma si propone di sostenere l’insieme del movimento buddhista italiano nel rispetto di tutte le tradizioni. Le finalità sono infatti principalmente quelle di riunire e assistere i diversi gruppi buddhisti, contribuire alla diffusione degli insegnamenti e delle pratiche della dottrina buddhista, sviluppare la collaborazione fra le diverse scuole buddhiste, favorire il dialogo con le altre comunità religiose, con i centri d’impegno spirituale e con istituzioni culturali e accademiche su argomenti di interesse comune. All’interno dell’UBI opera anche una struttura con finalità più specificamente culturali: la Fondazione Maitreya di Roma.

Nel 2012 il Parlamento ha approvato l’Intesa ex articolo 8, III comma della Costituzione, tra l’UBI e lo Stato italiano, accordo che sostituisce nei confronti dell’UBI, degli organismi che essa rappresenta e di coloro che ne fanno parte, la normativa sui “culti ammessi” fino a oggi applicata. Tale accordo, unitamente a quello con l’Unione Induista Italiana (UII), costituisce una novità: per la prima volta lo Stato italiano ha avuto come interlocutore una religione che non proviene dal solco della tradizione ebraico-cristiana.

Dal 2020 l’UBI pubblica la rivista Buddhismo Magazine, promuove pubblicazioni attraverso la propria casa editrice Ubiliber e sostiene progetti sociali e di salvaguardia dell’ambiente.

Un’altra interessante conseguenza della creazione di un’associazione interbuddhista nazionale è la celebrazione di una festività annuale comune a tutti i centri buddhisti italiani: il Vesak. Esso costituisce già oggi un momento di incontro per i membri dell’UBI, ha ottenuto una certa visibilità mediatica e potrebbe ricoprire un ruolo importante nella creazione di un’identità buddhista italiana.

Altre tradizioni buddhiste

I buddhisti di altre tradizioni che non afferiscono all’UBI svolgono numericamente un ruolo minoritario, che tuttavia non coincide con lo spessore storico, di lignaggio, d’impatto culturale e di radicato dialogo interreligioso che talune di queste realtà rivestono, anche in Italia e anche in rapporto alla Chiesa cattolica. Si tratta di una molteplicità di scuole, di centri, di organizzazioni, che meriterebbero ciascuna un’approfondita disamina, qui non possibile. Per una rassegna tendenzialmente esaustiva di esse si rimanda al progetto online “Le religioni in Italia”, versione aggiornata della monumentale Enciclopedia delle religioni in Italia (Elledici, 2013).

Sembra ragionevole iniziare con la menzione dei discepoli italiani del famoso monaco buddhista zen, poeta e attivista vietnamita per la pace Thich Nhat Hanh (1926-2022), raccolti sotto le sigle InterEssere ed Essere Pace – associazione legalmente costituita in Italia nel 1996 – e i cui gruppi di pratica si radunano in case private in svariate città della penisola.

Thich Nhat Hanh a Parigi (2006), Foto di Duc, Wikimedia Commons

Per dare un’ulteriore idea della varietà delle scuole buddhiste in Italia non afferenti all’UBI, si potrebbe proseguire soffermandosi sulla presenza del nostro paese della corrente shingon – termine con il quale ci si riferisce alle branche giapponesi del buddhismo tantrico –, tramite la scuola Shinnyo-en. Presente nel nostro paese dall’inizio degli anni 1980, successivamente all’inaugurazione del primo tempio italiano nel 1990 a Milano, Shinnyo-en svolge inoltre le sue attività e diffonde i suoi insegnamenti in altre città italiane.

Infine, sembra prezioso non dimenticare la presenza del buddhismo Nichiren, ovvero l’insieme di scuole buddhiste mahayana giapponesi che fanno riferimento alla figura e agli insegnamenti del monaco buddhista Nichiren, vissuto in Giappone nel XIII secolo. Due centri Nichiren sono affiliati all’UBI, ma ne esistono svariati altri con una presenza radicata e che operano autonomamente. Dalla Pagoda della pace, inaugurata nel 1998 a Comiso (RG) da Gyosho Morishita, dell’ordine Nipponzan Myohoji, alla Reiyukai, presente in Italia dal 1977, considerata il più antico fra i nuovi gruppi della tradizione Nichiren, e da cui origina tutta una serie di ulteriori importanti movimenti, il più noto dei quali è in Italia la Rissho Kosei-kai, particolarmente famosa per le sue importanti attività di dialogo interreligioso con la Chiesa cattolica – il fondatore, Nikkyo Niwano (1906-1999), partecipò al Concilio Vaticano II su invito di papa Paolo VI –, dal movimento dei Focolari ai fitti rapporti con diverse università pontificie.

Chiara Lubich e Nikkyo Niwano a Tokyo (1981)

L’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (IBISG)

Lo stesso Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai – il terzo quadrante delle presenze buddhiste in Italia e, assunto singolarmente, numericamente il più significativo nel nostro paese nonché quello la cui crescita appare più rilevante – discende dalla scuola buddhista Nichiren.

Fondata nel 1930 da due educatori giapponesi convertiti al buddhismo Nichiren – Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) e Josei Toda (1900-1958), fortemente contrari allo sforzo bellico nazionale – come “Società educativa per la creazione di valore”, la Soka Gakkai si riorganizza nel secondo dopoguerra con un deciso impegno a favore della pace e con un’attitudine particolarmente incentrata sui laici, perseguita dal terzo e attuale presidente, Daisaku Ikeda, il quale si rende noto anche attraverso i suoi dialoghi con filosofi, politici e scienziati, e diventa uno dei più noti attivisti internazionali nel campo dell’educazione alla pace e delle proposte di disarmo.

Separatasi nel 1991 dai monaci della Nichiren Shoshu, la Soka Gakkai aveva già iniziato da alcuni decenni un’espansione in Occidente, Italia compresa, dove le prime presenze risalgono al 1961: il “Capitolo Italia” nasce ufficialmente nel 1970, e la crescita è stata progressiva (gli aderenti erano 13.000 nel 1993 e sono circa 95.500 alla fine del 2021), con centri distribuiti lungo l’intera penisola. Nel 2014 viene inaugurato a Corsico (MI) il Centro culturale Ikeda per la pace.

Nel 2016 è stata approvata dal Parlamento l’Intesa ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione tra l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e la Repubblica Italiana.

Centro culturale Ikeda per la pace (Corsico, MI), Foto di Andrea Albini, Wikimedia Commons

Le presenze monastiche

Oltre a molte e diversificate iniziative individuali e a una rete di centri di pratica diffusi sul territorio nazionale, punti di riferimento per i praticanti buddhisti nel nostro paese sono rappresentati dai monasteri. Realtà monastiche espressione delle diverse scuole buddhiste sono ormai ben radicate sul territorio italiano, rappresentando luoghi di formazione, pratica e irradiamento dell’insegnamento del Buddha. Ma quali sono i luoghi monastici più importanti che si trovano nelle nostre regioni?

Il Monastero Santacittarama, “Il Giardino del Cuore Sereno”, ubicato a Poggio Nativo (RI) nella regione laziale della Sabina, è il primo monastero in Italia della tradizione theravada. I monaci residenti fanno parte della tradizione thailandese detta “della foresta”. È stato fondato nel 1990 per rispondere al desiderio manifestato sia dai buddhisti italiani che dagli immigrati della comunità asiatica (in particolare thailandese, cingalese e birmana).

Principali rappresentanti della tradizione zen sono due monasteri presenti in Emilia. Il più antico è il Monastero Shobozan Fudenji di Salsomaggiore (PR), fondato dal maestro Fausto Taiten Guareschi nel 1984. Oltre che luogo di pratica e di ritiro, è anche sede di seminari di formazione. A Berceto (PR), fra i monti dell’Appennino tosco-emiliano, sorge invece il Monastero Sanboji, “Tempio dei Tre Gioielli”. Fondato dal maestro Carlo Tetsugen Serra, ospita una comunità residenziale monastica e laica. A queste due realtà si è più di recente aggiunto il Monastero Hua Yi Si, “Monastero Cina-Italia”, di Roma. Inaugurato nel 2013, questo monastero di tradizione chan (lo zen cinese) affiliato al Monastero Chung Tai Chan a Taiwan ospita una comunità monastica femminile che impartisce lezioni di buddhismo zen e meditazione di diversi livelli, per lo più frequentate da persone delle comunità cinesi in Italia.

A Pomaia (PI) sorge l’Istituto Lama Tzong Khapa, il più importante centro della tradizione vajrayana (tibetana). Fondato nel 1976 da Lama Thubten Yeshe e Kyabje Thubten Zopa Rinpoche, è divenuto una scuola internazionale per gli studi e la pratica del buddhismo, con programmi di vario livello. Il centro è costituito da un sangha monastico e da un sangha laico, da gruppi eterogenei di studenti, corsisti e ospiti residenti. Della tradizione tibetana fa parte anche il Monastero di Merigar West, situato ad Arcidosso (GR): primo gar (“monastero”) della comunità dzogchen, è sorto nel 1981 sotto l’egida del maestro Chögyal Namkhai Norbu e costituisce un luogo di incontro dove si svolgono attività seminariali e corsi di insegnamento. Infine, altri due luoghi di tradizione tibetana con presenze monastiche che offrono programmi di studio e seminari di pratica sono siti in Piemonte: il Bodhi Path Retreat Center di Bordo (VB) e l’Healing Meditation Center di Albagnano di Bee (VB), fondato nel 1999 da Lama Gangchen Tulku Rinpoche (1941-2020).

Istituto Lama Tzong Khapa (Pomaia, PI), Foto di Matteo Nicolini-Zani

Per approfondire

  • F. Ballabio, B. Salvarani (a cura di), Buddhisti in Italia, numero monografico di Sette e Religioni 14 [8/2] (1998).
  • A. Bassini, Guida al Buddhismo. Dove incontrare il Buddhismo in Italia: centri culturali, templi e monasteri, Il Ponte Vecchio, Cesena 2019.
  • R. Bertoni (a cura di), Aspetti del rapporto tra Buddhismo e cultura in Italia, Trauben-Trinity College, Torino-Dublin 2012.
  • Il buddhismo in Italia”, in M. Introvigne, P. Zoccatelli (sotto la direzione di), Le Religioni in Italia [annualmente aggiornato].
  • L. M. Colombo [Bhikkhu Mettānanda], Lokanātha, il primo monaco buddhista italiano. Vita e insegnamenti, Diana Edizioni, [s.l.] 2019.
  • G. Comolli, Buddisti d’Italia. Viaggio tra i nuovi movimenti spirituali, Theoria, Roma 1995.
  • M. A. Falà, “Il buddhismo in Italia”, in W. Rahula, L’insegnamento del Buddha, Paramita, Roma 1994, pp. 122-132.
  • M. A. Falà, Un altrove possibile. Viaggio tra vissuti e immaginari del dharma in Italia, Guida, Napoli 2016.
  • G. Ferrò, V. Prisciandaro (a cura di), “Buddhisti. La via italiana al Dharma”, in Jesus 34/5 (2012).
  • C. Fiore, M. A. Falà, Ricerca sulla presenza buddhista in Italia, RES, Roma 1993.
  • M. Ch. Giorda, S. Hejazi, “Luoghi monastici come spazi sacri. Il monastero Dominus Tecum di Prà d’Mill e il tempio zen sōtō Shobozan Fudenji di Salsomaggiore”, in Humanitas 68 (2013/6), pp. 975-986.
  • M. I. Macioti, “Il Buddhismo in Italia: dalle teorie alle prassi”, in Dialoghi Mediterranei 31 (2018).
  • G. Martini (a cura di), Cinema e Buddismo, Centro Ambrosiano, Milano 2007.
  • T. Mathé, “Le développement du bouddhisme en contexte italien. Aspects de la modernisation et du pluralisme religieux en Italie”, in Social Compass 57/4 (2010), pp. 521-536.
  • G. Pasqualotto, “Aspetti e problemi del buddhismo in Italia”, in Dharma 9 (2002), pp. 52-58.
  • “Le realtà monastiche in Italia. Luoghi di culto e di diffusione degli insegnamenti tradizionali”, in Buddhismo Magazine (2021/2), pp. 56-60.
  • B. Salvarani, “Buddhismo in Italia: le virtù e l’eterno”, in Il Regno – Attualità 6 (1995), pp. 173-176.
  • C. T. Serra, J. D. Milani, Lo Zen in Italia, Xenia, Como-Pavia 2018.
  • F. Squarcini, E. Bindi, “Il Buddha è da noi. Appunti sulle presenze e le attualità del buddhismo in Occidente”, in Credere oggi 155 (2006), pp. 119-143.
  • P. Stortini, “Bibliografia sul buddhismo in Italia”, in Carte allineate (ottobre 2012).
  • P. Stortini, “La presenza del Buddhismo in Italia: la storia e il presente”, in R. Bertoni (a cura di), Aspetti del rapporto tra Buddhismo e cultura in Italia, pp. 71-102.
  • P. Zoccatelli, “Forme del buddhismo in Italia. Il caso Shinnyo-en”, in La Critica Sociologica 140 (2002), pp. 100-112.