INDUISMO

Conoscenza. L'incontro Hindu-Cristiano

L'incontro Hindu-Cristiano

L'inesauribilità di Dio

L’«omaggio che la mente finita rende all’inesauribilità dell’infinito», così Sarvepalli Radhakrishnan (1888-1975), filosofo, politico e poi presidente dell’India (1962-67), parlava del dialogo tra le religioni. L’idea che il Divino sia qualcosa di più di tutto ciò che è sperimentato da ogni singola religione, e tuttavia che mostri la sua presenza nell’esperienza di ciascuna di esse è, dunque, il quid che dà senso e significato all’incontro tra le religioni. L’essere e la verità di cui si è portatori si incontrano così con l’essere e la verità dell’altro, secondo Radhakrishnan, e nel momento che tale verità si testimonia si rimane inevitabilmente aperti alla possibilità che la verità dell’altro ci interpelli, poiché da essa siamo posseduti. Nella vasta e variegata foresta dell’induismo antico e classico il termine sanscrito saṃvāda (संवाद), letteralmente «colloquio, dialogo, discorso», è la categoria che più di tutte si avvicina al dialogo interreligioso. Non a caso proprio il saṃvāda ha provveduto a fornire quelle regole di ingaggio che hanno assicurato un quadro di riferimento per le diverse tradizioni, filosofiche e religiose indiane e non indiane, a cominciare dai dialoghi poetici tra divinità o saggi che si ritrovano già nella letteratura vedica più antica. Aspetti fondamentali del saṃvāda sono: la reciprocità, ovvero il riconoscimento del contributo che tutte le tradizioni possono egualmente dare al dialogo. Essa è l’altra faccia dell’interdipendenza, la quale esclude la totale incommensurabilità tra le religioni, nonostante la profonda diversità di miti, riti, credi, sistemi etici e cammini soteriologici; l’apprendimento reciproco, poiché l’obiettivo non è provare la superiorità di una tradizione sull’altra, ma favorire una comprensione più approfondita dell’altro in ciò che di unico e particolare possiede e può dare; l’arricchimento o anche la trasformazione, poiché i dialoganti possono aprirsi a nuove prospettive, affinare la propria comprensione e scoprire nuove strade o soluzioni ai dilemmi religiosi; la dedizione alla propria tradizione senza rinunciare ad essa o annacquarla, quanto piuttosto muoversi verso un’attitudine di comprensione verso le altre forme di fedi, anche se distanti dalla propria.  Il desiderio in questo caso non è tanto quello di appiattire o negare le differenze quanto di gioirne e di celebrarle.

Sarvepalli Radhakrishnan

Un incontro antico

«Il contatto (tra le religioni) è buono. Si dovrebbero ascoltare e rispettare le dottrine professate da altri. Il Prediletto degli Dei, [Aśoka] desidera che tutti siamo ben istruiti nelle buone dottrine di altre religioni. [...] Sua Maestà il re, santo e grazioso, rispetta tutte le confessioni religiose, ma desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l’altra. Chi disprezza l’altrui credo, abbassa il proprio credendo d’esaltarlo».

Editto su roccia n. XII del sovrano indiano buddista Aśoka (304-232 a.C.)

L’incontro tra gli hindu e i cristiani nasce dagli albori del cristianesimo. Questa fase iniziale ha visto la minoranza cristiana cercare il dialogo con la maggioranza hindu. La presenza dei cristiani di San Tommaso in Kerala, nel sud dell’India, è attestata fin dagli inizi del cristianesimo. Di essi si diceva che fossero «hindu per cultura, cristiani per fede e (cristiani) orientali per rito», proprio per sottolineare il livello di integrazione che tali comunità avevano con l’ambiente circostante a stragrande maggioranza hindu. Il dialogo della vita e la vicinanza agli hindu erano tali che essi non avvertivano alcuna contraddizione tra la loro fede e le pratiche socioculturali che condividevano con gli hindu, a tal punto che essi consideravano buone per la salvezza anche le tradizioni che fossero diverse dal cristianesimo perché: «Ognuno può essere salvo secondo la propria legge e tutte le leggi sono giuste». Una nuova fase si aprì all’indomani dello sbarco dei portoghesi in India nel 1498, poi seguiti da olandesi, francesi e inglesi, che vi restano fino all’indipendenza del 1947. Nel contesto colonizzatore e missionario dei cristiani europei l’induismo, da una parte, fu chiamato a chiarire e finanche a difendere la propria identità nei confronti del cristianesimo, anche in modo aggressivo, e dall’altra si rese protagonista di un vero e proprio incontro, in quello che è conosciuto come il “Rinascimento hindu” a partire dal XIX secolo. I missionari cristiani arrivati in India, in massima parte a contatto con la dimensione popolare della religione, non si mostrarono certo estimatori dell’induismo, il quale venne considerato quale religione del passato piena di superstizioni e pratiche negative, dunque da superare e sostituire con il cristianesimo.

Roberto de Nobili - Wikimedia

Non mancarono certo eccezioni, come le figure di Roberto de Nobili (1577-1656), il quale seguì la strada dell’adattamento del messaggio al contesto indiano e, più vicino a noi, Monier Williams (1819-1899), cristiano praticante e famoso orientalista, il quale riconobbe la grandezza del Rāmāyaṇa e del Mahābhārata e rigettò l’idea che le religioni indiane fossero destinate a sparire sotto l’influenza del cristianesimo. D’altra parte, molti dei protagonisti del “Rinascimento indiano” si coinvolsero in un dialogo, a tratti anche non facile, con il cristianesimo ridisegnando, almeno in parte, lo stesso induismo. Ram Mohan Roy (1772-1833), Keshab Chandra Sen (1838-1884), Rabindranath Tagore (1861-1941), Svāmi Vivekānanda (1863-1902), Mohāndās Karamchand Gāndhī (1869-1948), solo per citarne alcuni, eseguirono riforme rilevanti nelle pratiche religiose e rivitalizzarono aspetti dell’induismo oramai dimenticati. La terza fase, che inizia con il periodo post-coloniale, ha coinciso con un maggior apprezzamento del cristianesimo per l’induismo e per una più decisa e creativa partecipazione dell’induismo al dialogo. Guidato, in massima parte, dal dialogo teologico di natura comparata (Dio e brahman, Cristo e Kṛṣṇa, Tommaso d’Aquino e Śaṅkarācārya) questo momento favorì per entrambi i soggetti dialoganti il superamento di posizioni assolutiste e di sentimenti di superiorità. Emblematica ci pare la posizione del filosofo indiano Sarvepalli Radhakrishnan, il quale vide nell’incontro tra le religioni, in special modo tra cristianesimo e induismo, una «comune ricerca della verità» necessaria «per assicurare le basi spirituali al mondo intero» e per favorire quella sintesi verso uno sviluppo umano integrale, anticipando con ciò uno dei temi fondamentali del dialogo odierno. Quest’ultima fase potrebbe, dunque, essere creativa non solo nell’interpretare l’altro, ma anche innovativa nel percepire sé stessi.

«Nel mio dialogo con i cristiani ho compreso molto del cristianesimo, ma anche molto della mia tradizione religiosa [...]. Dio è già presente nel suo mondo, a noi non resta che riconoscere e rispondere a questa presenza. Quando Cristo è esaltato, tutto ciò che è universale in qualsiasi religione viene esaltato [...]. Nella mia comprensione del Nuovo Testamento, l’amore di Dio abbraccia il mondo intero. Le chiese possono essere esclusiviste; Cristo è universale. Il Regno di Dio include l’intera umanità»

[K.L. Seshagiri Rao, Hindu-Christian Dialogue: A Hindu Perspective, in Hindu-Christian Bullettin 14 (2001), 9]

Hindu e cristiani in Europa: la costruzione di un nuovo umanesimo basato sulla fraternità

Quando ci si avvicina all’induismo in Europa, ci si trova di fronte a una pluralità di tradizioni (sampradaya) che, nel loro insieme, costituiscono il complesso spettro di percorsi religiosi che qualcuno chiama induismo europeo. Esistono differenze significative quando si guarda alla storia della presenza hindu nei vari Paesi europei, a causa delle diverse relazioni storiche, politiche ed economiche che hanno avuto con l’Asia meridionale. Si pensi, ad esempio, alle potenze coloniali come il Portogallo, la Francia, i Paesi Bassi e la Gran Bretagna e ai loro costanti flussi migratori, temporanei o permanenti, da e verso le colonie, sia nelle madrepatrie sia nel resto degli imperi coloniali. La diffusione delle tradizioni hindu in Europa è avvenuta principalmente in due modi: attraverso la migrazione dai Paesi dell’Asia meridionale, la cosiddetta diaspora hindu, e attraverso gli europei che sono diventati seguaci degli insegnamenti hindu, spesso quelli di particolari guru. La prima via rimane senza dubbio la più significativa per l’espansione delle tradizioni hindu in Europa. Il numero di induisti dell’Asia meridionale in Europa si aggira tra il milione e mezzo e i due milioni, anche se negli ultimi decenni la migrazione indiana ha privilegiato gli Stati Uniti e il Canada rispetto all’Europa.

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La maggior parte degli hindu della diaspora mantiene un legame con il proprio Paese d’origine. Questo legame è in molti casi un elemento importante della loro identità, anche se la sua forza varia notevolmente. Si passa dall’impegno politico alla completa assimilazione nei nuovi Paesi. Molti cercano di trasferire questo legame costruito sulla storia familiare, sulla parentela e sull’affinità alle generazioni più giovani. Tuttavia, queste ultime possono essere meno interessate a mantenere i rapporti con il Paese d’origine dei genitori, dal momento che sono cresciute in Europa. Potrebbero, invece, essere più impegnati a comprendere, rimodellare e promuovere sé stessi e le tradizioni hindu nei Paesi europei. La diaspora hindu ha avuto due periodi principali: prima e dopo l’indipendenza dell’India nel 1947.  Il primo periodo è stato dominato dalle regole coloniali e quindi il trasferimento degli hindu è avvenuto nella stragrande maggioranza dei casi nelle varie altre colonie come Mauritius, Trinidad, Guyana, Suriname. Il numero di hindu in Europa rimase quindi molto basso, anche se iniziò ad aumentare in Gran Bretagna e poi in Francia, Portogallo e Danimarca a partire dalla seconda metà del XX secolo. Dopo l’indipendenza, le comunità hindu della diaspora sono cresciute in Europa. Opportunità di lavoro o di istruzione, matrimoni e ricongiungimenti familiari, ma anche la necessità di sfuggire alle tensioni politiche, come nel caso degli hindu dello Sri Lanka, sono alcune delle ragioni della crescente presenza degli hindu in Europa. Attualmente, la quota maggiore si trova in Gran Bretagna, Paesi Bassi, Italia, Francia e Germania. I migranti hindu e i loro discendenti hanno permesso all’induismo legato ai templi di diventare il più diffuso in Europa. Questo ha consentito agli europei di cogliere l’induismo come una tradizione rituale e una religione viva e non più solo come un antico retaggio, un fenomeno testuale o un insegnamento filosofico associato ai guru. Di conseguenza, in Europa esistono forme distinte di induismo: l’induismo orientato ai templi, seguito principalmente dagli immigrati hindu, e quello legato ai guru, seguito principalmente dagli occidentali o dai convertiti. Esse generano, naturalmente, stili e orientamenti diversi. Un approccio più flessibile al fenomeno dell’induismo è molto utile nel contesto del rapporto tra induismo e cristianesimo in Europa. Esso rende consapevoli della più ampia influenza culturale dell’induismo in Europa, al di là della presenza specifica degli induisti nelle comunità della diaspora e degli europei che seguono i guru. L’induismo potrebbe quindi includere persone che sono selettivamente attratte da alcuni dei suoi elementi come lo yoga, la medicina ayurvedica, la credenza nella reincarnazione, il karma e altri simboli hindu. Infine, in termini di rappresentazioni pubbliche, è utile notare l’equilibrio tra la pluralità delle tradizioni hindu in Europa, ovvero l’assenza di una dominanza degli hindu indiani, come invece accade negli Stati Uniti. Ciò è dovuto alla presenza di induisti tamil dello Sri Lanka in molti Paesi europei, di induisti surinamesi nei Paesi Bassi, ma anche di un certo numero di induisti provenienti da altri Paesi, come Nepal, Mauritius, Malesia, Singapore, Trinidad.

Foto 1. Rāmāyaṇa –Rama e Sita. Foto 2. Mahābhārata – La battaglia di Kurukṣetra

Una nuova fase

Sebbene molti hindu in Europa siano entrati in contatto solo di recente con le comunità cristiane su base quotidiana, il dialogo tra induisti e cristiani ha una lunga storia comune, in massima parte relativa al subcontinente indiano. Nel XX secolo, questa storia comune è entrata in una nuova fase. L’immigrazione hindu su larga scala in Europa e i seguaci europei dell’induismo hanno creato nuove condizioni. Dal loro iniziale status di comunità “ospite” nella cultura “ospitante”, prevalentemente cristiana, gli hindu sono diventati parte integrante dell’identità, della cultura e dell’infrastruttura socioeconomica europea. A livello religioso, le comunità cristiane e hindu si rendono sempre più conto che l’altra tradizione può essere una risorsa spirituale per la preghiera, la riflessione e le celebrazioni, mentre il dialogo teologico esplora fruttuosamente intuizioni condivise e orizzonti comuni da più di un secolo. È proprio sulla base di questa rinnovata vicinanza sociale e spirituale che molti protagonisti dell’incontro tra cristianesimo e induismo ritengono che sia giunto il momento di andare più a fondo. Tuttavia, alcune tensioni sono presenti anche nel caso delle interazioni tra hindu e cristiani in Europa. A volte il fondamento coloniale di questa relazione crea un’asimmetria che ha vaste conseguenze sociali e religiose. A livello sociale, gli hindu nelle colonie sono stati sottoposti al cristianesimo e alla cultura europea, mentre è stato loro negato l’accesso all’Europa e alla sua cultura; in seguito, gli hindu in Europa sono stati percepiti come una minoranza estranea poco rappresentata e poco compresa nella società europea in generale. Sul piano religioso, le critiche iniziali dei missionari hanno favorito una percezione negativa dell’induismo in Europa, che raramente è stata bilanciata da un’analoga critica hindu al cristianesimo.

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Gli scarsi incentivi a conoscere l’altra tradizione religiosa, in tutta la sua complessità e profondità, pesavano molto: i cristiani conoscevano solo una manciata di testi hindu e questi ultimi conoscevano solo i principali insegnamenti cristiani, in gran parte attraverso la loro istruzione scolastica. Tutto ciò alimentava una conoscenza frammentaria, parziale e spesso caricaturale dell’altro. Inoltre, le due culture non si frequentavano a livello sociale: solo in tempi recenti le case degli hindu e dei cristiani hanno cominciato ad aprirsi agli impegni quotidiani e a conoscersi meglio culturalmente. Infine, bisogna considerare come le tensioni comunitarie e i problemi di conversione, con la relativa legislazione in India, abbiano ancora un impatto, sia pur mitigato, sulle relazioni tra hindu e cristiani in Europa e nel mondo.

Quindi, se dovessimo riassumere con una formula a che punto sono i rapporti tra cristiani e hindu in Europa, si potrebbe dire: tra la necessità di approfondire e le tensioni di fondo, all’interno di una storia condivisa.

Una storia condivisa

Le interazioni tra induisti e cristiani in Europa sono dunque una storia condivisa fatta di punti di forza e opportunità, di debolezze e minacce. Rafforzare i primi e minimizzare l’impatto delle seconde è fondamentale. Per arrivare a questo punto, dovremmo prima descrivere la percezione reciproca che cristiani e hindu hanno di sé stessi in Europa, e poi indicare i temi rilevanti nell’incontro tra le due comunità. Questo ci indicherà infine alcuni possibili scenari futuri dell’incontro induista-cristiano in Europa.

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A) Percezioni reciproche

In generale, gli hindu in Europa si sentono abbastanza a proprio agio con il cristianesimo, avendo per lo più sperimentato contesti di pratiche cristiane a scuola o durante attività sociali. Tuttavia, gli hindu vivono anche una scarsa comprensione religiosa. Pur essendo “tolleranti”, i cristiani mostrano scarso interesse a comprendere o a partecipare alla loro vita religiosa. Conoscenza superficiale e disinteresse sembrano andare di pari passo, favorendo così l’incomprensione e l’insensibilità, più che l’opposizione e il conflitto. Inoltre, alcuni induisti lamentano la difficoltà di migliorare questa situazione, ad esempio spiegando la propria religione agli altri. L’induismo sfugge a qualsiasi facile definizione e il vasto numero di divinità e rituali spesso complica ogni tentativo di renderlo comprensibile ai cristiani. Soprattutto i giovani induisti sottolineano l’importanza dell’educazione religiosa a scuola come una possibile modalità per lenire questo squilibrio. Inoltre, quasi tutti hanno riferito che l’insegnamento del cristianesimo supera di gran lunga quello delle altre religioni e, in molti casi, l’induismo è descritto in maniera imprecisa e superficiale. Non sono poche le persone che hanno raccontato storie di difficoltà, anche involontarie, e persino di insulti derivanti dalla scarsa familiarità con l’induismo. Tuttavia, gli hindu non vedono conflitti tra le proprie credenze e quelle del cristianesimo. La maggior parte ha dichiarato di considerare le due religioni compatibili e molti di coloro che hanno avuto esperienze di culto comune in chiese o templi hanno espresso il desiderio di poterle estendere. Alla domanda sulle possibili caratteristiche negative del cristianesimo, la risposta più comune è stata che gli hindu non accettano o non comprendono appieno l’affermazione che il cristianesimo sia l’unica o la migliore via di salvezza. D’altra parte, alcuni hanno suggerito che la tendenza hindu ad affermare la verità e il valore relativo di altre tradizioni ha molti vantaggi. Infine, le questioni relative alla conversione e alle leggi anti-conversione rimangono secondarie nella percezione degli hindu europei. Si tratta quindi di una questione legata all’India che rimane separata da ciò che la grande maggioranza di loro vive e sperimenta in Europa. Quando si parla della percezione cristiana dei credenti hindu in Europa, la prima cosa che molti dicono è che considerano la comunità hindu come essenzialmente pacifica, ben educata e anche piacevole. Molti cristiani notano le profonde distanze che hanno dall’induismo, che rimane una religione fortemente caratterizzata culturalmente, con un insieme molteplice di divinità non facili da comprendere e seguire. Quando i cristiani tendono a sintetizzare l'induismo, di solito, scelgono tre modalità: una religione “colorata” che si distingue per i suoi festival, le ambientazioni stravaganti, il cibo delizioso/speziato e la musica vivace; una comunità organizzata e fortemente orientata alla famiglia; una religione dalle molte divinità. La stragrande maggioranza dei cristiani ha anche ammesso di non aver alcun bisogno impellente di saperne di più sull’induismo, pur ammettendo che il conflitto percepito con altre comunità ha reso “importante” migliorare sia la conoscenza sia le relazioni. In sintesi, nessun conflitto, nessuna conoscenza da acquisire, nessuna relazione da migliorare. Per i cristiani e per gli hindu l’obiettivo principale delle relazioni interreligiose rimane quello di «affermare la vita religiosa di entrambi i gruppi e di vivere insieme secondo principi etici condivisi». Tuttavia, la riflessione cristiana sulle sfide del dialogo interreligioso tende a tornare su temi chiave, quali il carattere unico di Gesù nel cristianesimo e la difficoltà delle altre religioni a comprenderlo. A molti cristiani sembra opportuno rendere conto di questo punto di vista in modo che possa essere adeguatamente compreso dai credenti hindu, senza che ciò venga percepito una pretesa arbitraria di superiorità. Pertanto, il dialogo interreligioso comporta una riflessione più profonda sulla propria religione in relazione all’altra.

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B) Temi chiave

Esplorando le percezioni reciproche in questo modo, è possibile identificare almeno cinque temi chiave in relazione al dialogo tra cristiani e hindu in Europa. 

  1. L’importanza e l’obiettivo del dialogo interreligioso per entrambe le comunità. In questo contesto, il dialogo interreligioso non dovrebbe limitarsi a un rapporto educato ma superficiale; dovrebbe, invece, creare una relazione più personale in cui l’altra persona non è vista principalmente come un “hindu” o un “cristiano”, ma soprattutto come un amico o un vicino, un fratello e una sorella. Il dialogo interreligioso deve essere percepito come una stimolante risorsa culturale, umana e spirituale, piuttosto che come un mero dovere sociale.
  2. La necessità di promuovere relazioni autentiche a livello laico e spirituale. L’autentica amicizia di vicinato è la relazione che dovrebbe caratterizzare la migliore esperienza dialogica induista-cristiana; cioè, lo stesso rapporto amichevole, familiare, sincero e universalmente umano che è al centro di tutte le relazioni umane di vera amicizia. Questo è ciò che la maggior parte delle persone vuole coltivare, sia a livello secolare che in contesti spirituali.
  3. Rafforzare l’istruzione ed eliminare le superficialità. La cultura cristiana “ospite” sembra avere una scarsa comprensione dell’induismo e la maggior parte degli hindu ritiene di non essere adeguatamente preparata a spiegare la propria religione ai cristiani. La scuola, non di rado, dà informazioni superficiali, le iniziative interreligiose sono per lo più legate alle religioni abramitiche e i media si concentrano più sugli aspetti culturali ed etnici che sul significato della religione hindu. I genitori hindu chiedono una migliore educazione scolastica sull’induismo. In questo modo, gli hindu avranno gli strumenti per spiegarlo meglio ai loro vicini e i cristiani saranno più disposti a comprenderlo. Allo stesso modo, una migliore conoscenza del cristianesimo sarebbe necessaria sia per gli hindu che per i cristiani. Per gli hindu, per comprendere meglio le sfumature che caratterizzano il pensiero cristiano ed evitare facili generalizzazioni. Per i cristiani, al fine di spiegare in modo più maturo ed equilibrato quelle affermazioni di fede che sembrano confondere e in alcuni casi turbare i credenti hindu, come, ad esempio, il modo in cui viene presentata la centralità di Gesù Cristo nella fede cristiana.
  4. Verità, ospitalità e diversità. I partner del dialogo induista-cristiano dovrebbero sentire il bisogno di affermare le rispettive verità religiose in modo rispettoso e reciprocamente arricchente, e di cercare insieme un punto di convergenza etica che permetta loro di vivere l’accettazione nella diversità e di lavorare insieme per il bene della società in generale. Sono coloro che spiegano le loro ragioni in modo misurato e che comprendono le motivazioni alla base delle opinioni altrui ad impegnarsi più proficuamente nel dialogo interreligioso. Da questo punto di vista, cristiani e hindu hanno molto da contribuire alla comprensione interreligiosa in un mondo multireligioso. Secondo alcuni testimoni hindu e cristiani: «Il [dialogo] interreligioso dovrebbe essere promosso non come un impegno sgradevolmente impegnativo ma necessario, quanto piuttosto come qualcosa che aiuta la vita spirituale di ogni persona a crescere e fiorire. Attraverso queste conversazioni le persone rimangono aperte a nuove comprensioni di sé, a nuove espressioni e a nuove possibilità. Il processo di esplorazione di altre religioni non è ostile alla fede: fatto con lo spirito giusto è una pratica preziosa».
  5. Gestire i conflitti e trovare insieme soluzioni condivise. Pochi partner del dialogo prevedono conflitti significativi o profondi tra le due comunità. Le questioni che in passato avevano causato non pochi attriti - conversione, casta e tensioni coloniali o razziali - sono relativamente rare e poco rilevanti nel contesto europeo. Allo stesso tempo, però, rimangono sullo sfondo, pronte ad alimentare l’antagonismo comunitario che cresce a partire dalla dominazione, dalla coercizione e dalle ferite di natura religiose non sanate. Ciò che serve in questo caso è un dialogo resiliente, cioè una relazione profonda capace di affrontare i conflitti e di trovare insieme soluzioni condivise. Mentre una relazione semplicemente “educata” entra in crisi nell’ostilità o scompare di fronte al conflitto, una relazione più profonda è abbastanza resiliente da affrontare il disaccordo.
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C) Scenari futuri

Sulla base delle percezioni reciproche e dei temi chiave discussi finora nell’incontro induista-cristiano, si è ora in grado di individuare cinque passi da compiere, per camminare sempre più a fondo in un dialogo che possa massimizzare le opportunità e minimizzare le minacce.

  1. Comprensione. Uno dei maggiori punti deboli del dialogo induista-cristiano, che ancora allontana le due comunità, sembra essere l’ignoranza o la mancanza di una conoscenza adeguata che i cristiani hanno dell’induismo, a cui corrisponde la difficoltà che diversi hindu hanno nello spiegare la loro religione. Allo stesso modo, gli hindu, in alcuni casi, non sembrano sufficientemente consapevoli delle ragioni che stanno alla base della centralità del ruolo di Gesù nel cristianesimo e della stessa pluralità che lo caratterizza. Una conoscenza della religione e una conoscenza dalla religione sarebbero necessarie per arrivare a una comprensione partecipativa dell’altro, una comprensione disposta ad ascoltare, comprendere e imparare. L’educazione, soprattutto all’induismo, nelle scuole, così come la conoscenza dell’induismo nei media, sono insoddisfacenti. Pertanto, è importante incoraggiare una maggiore istruzione e una competente e corretta esposizione mediatica delle due religioni. In questo modo, entrambe le comunità potrebbero conoscersi e comprendersi meglio, questo si pone quale passo necessario per rispondere alle sfide e alle aspirazioni che comporta l’incontro con un’altra fede.
  2. Relazioni sociali. Il dialogo tra le fedi si alimenta laddove crescono le relazioni sociali. Dobbiamo cercare le motivazioni profonde, le preoccupazioni comuni che stimolano azioni congiunte e condivise. Il dialogo della vita, dal lavoro, alla scuola, dallo shopping alle occasioni di socializzazione - come gli eventi culturali, le cene interreligiose, l’ospitalità reciproca in vacanza – e alla promozione di valori comuni attraverso attività svolte insieme. Queste sono tutte occasioni formali e informali che alimentano un nuovo umanesimo sincero basato sulla fraternità e che sostengono un dialogo tra le fedi più autentico e vissuto. Pianificare e raggiungere insieme obiettivi autentici è un esercizio di costruzione di relazioni incredibilmente positivo e potente. Può avere effetti di vasta portata sul senso di solidarietà delle comunità in termini di valori e può costruire una storia condivisa a cui si potrà sempre fare riferimento in futuro.
  3. Impegno spirituale comune. Un passo necessario a questo proposito sarebbe quello di stimolare un impegno spirituale comune per cristiani e hindu. Celebrare insieme le feste, aprire templi e chiese per entrambe le comunità, studiare e imparare dalle rispettive scritture sacre, promuovere la condivisione di varie pratiche spirituali e impegnarsi in una ricerca comune della verità attraverso dibattiti e discussioni teologiche. Sono tutte occasioni in cui un dialogo autentico può crescere e rafforzarsi, rendendo entrambi i credenti più maturi nelle rispettive appartenenze religiose e più aperti ad apprezzare le ricchezze spirituali e umane esistenti nell’altra tradizione.
  4. Accordo e disaccordo. La forza e la maturità del dialogo tra le fedi si manifestano quando è in grado di tenere insieme teologia e pratica, tensione e creatività, accordo e possibile disaccordo. Per questo motivo, è fondamentale avviare dialoghi capaci di costruire relazioni che permettano di inserire il disaccordo all’interno di un legame più profondo, basato su altri fondamenti: rispetto, familiarità, cooperazione, apprezzamento e amicizia. È importante contribuire a coltivare attività interreligiose che non si concentrino solo su «somiglianza e accordo, ma soprattutto su sincerità, valori condivisi e disaccordo rispettoso». Questo può includere discussioni che permettano alle persone di ascoltare le loro differenze e le ragioni che ne stanno alla base, senza cercare aggressivamente di persuadere gli altri, ma sforzandosi di offrire i propri punti di vista riconoscendo le convinzioni profondamente radicate degli altri. Le nostre differenze non devono diventare separazioni, ma trasformarsi in diversità sanate e curative, perché capaci di stimolare un impegno comune sempre più costante.
  5. Diffusione dei risultati del dialogo. L’ultimo passo da compiere nel caso del dialogo induista-cristiano è quello di renderlo presente, conosciuto e comunicato alla società più ampia. Troppo spesso le interazioni interreligiose, in tutta la loro bellezza e difficoltà, rimangono o vengono percepite dal pubblico come un’attività riservata a pochi addetti ai lavori. In realtà, non dovrebbero esistere esperti di dialogo tra le fedi, ma ogni credente, ogni uomo e ogni donna che intende coltivare la propria piena e autentica umanità dovrebbe essere coinvolta in qualche modo in questo movimento di dialogo. Senza dubbio, il futuro del dialogo interreligioso deve prevedere un programma sistematico di azione per aumentare la consapevolezza e diffondere la conoscenza del dialogo nella società.

 

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Bibliografia:

  • Knut A. Jacobsen, Ferdinando Sardella (eds), Handbook of Hinduism in Europe (2 vols) (Leiden: Brill, 2020).
  • Oxford Centre for Hindu Studies, Bridges and Barriers to Hindu-Christian Relations (Oxford: Oxford Centre for Hindu Studies, 2011).
  • Radhakrishnan Sarvepalli, Eastern Religions & Western Thoughts (New Delhi: OUP, 2005).
  • The Inter Faith Network for the UK, Bilateral Inter Faith Dialogue in the UK. Report on a seminar held at Lambeth Palace on 30 March 2009 (London: The Inter Faith Network for the UK, 2009).

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