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Dialogo Conoscenza

Prospettiva biblica

Ma che cos’è la pace? A cosa serve?

Nella Bibbia šālôm è sia un semplice saluto, sia una situazione opposta alla guerra, una condizione di rapporti amichevoli tra due popoli (cf 1Sam 7,14; 1Re 5,4; 22,45). La pace include il benessere, la benedizione, la tranquillità e indica l'armonia globale della vita in tutte le sue dimensioni e relazioni, orizzontali e verticali. Spesso è collegata al patto che indica l’alleanza fra due persone o due popoli (cf Gn 26,29; 1Re 5,26; Is 54,10; Gb 5,23), parlando di "alleanza di pace" (cf Nm 25,12; Ez 34,25; 37,26).

La pace in questa prospettiva implica sempre un aspetto dal basso, senza per questo escludere la dimensione verticale. La pace è addirittura il nome di Dio (Gdc 6,24); la pace è il dono divino che scaturisce dalla corretta alleanza con Dio attraverso il collegamento della giustizia (cf Is 48,18; 59,8; Sal 37,37); la pace come bene escatologico, connesso con la venuta del Messia:

e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d'Israele. […]

Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande

fino agli estremi confini della terra.

Egli stesso sarà la pace! (Mi 2,4).

Nel concetto di alleanza che attraversa tutto l’AT, si evidenzia, in particolare attraverso il richiamo dei profeti, la illusorietà della pace sociale (basata sull’ingiustizia: cf Am 4,1) che si fondi solo sull’interesse personale (Ez 13,9-11) e prescinda da una dimensione profonda di osservanza della legge del Signore:

Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore (Is 2,3-5).

In questo senso l’immagine dell’arco che Dio pone sulle nubi alla fine del diluvio (9,17), sembra esprimere bene la natura della pace che, attraverso Noè (9,8-17), si rinnova con il creato. Il segno di questa alleanza è l’arcobaleno, che non dice solo la fine della guerra, ma soprattutto il ponte che unisce cielo e terra. L’autore biblico interpreta un fenomeno naturale come un bellissimo segno di Dio. L’arcobaleno sembra un arco rovesciato, un arco deposto, dopo il combattimento. Quel segno di guerra, quindi, diventa un segno di pace. Così è l’arcobaleno. Dopo una tempesta, soprattutto d’estate, quando alla fine riappare improvvisamente la luce del sole, si produce questo meraviglioso gioco di luci e di colori, come un arco rovesciato, un segno di pace, un segno – più che di tregua – di un nuovo inizio. Dopo la violenza distruttiva dell’acqua del diluvio, la vita riprende, carica di luce e di speranza. È un nuovo inizio. Nella Genesi, Dio dice: che «quando … apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne». L’alleanza di Dio con l’umanità qui viene annunciata come un’alleanza fedele, indistruttibile. Ogni volta che compare, ovunque sulla terra, l’arcobaleno di luce diventa un segno di questa alleanza promessa da Dio, con Noè, all’umanità intera. La bandiera della pace ha ripreso i segni dell’arcobaleno con delle varianti successive. Noi credenti restiamo ancorati all’arcobaleno, nella disposizione dei colori che nella natura evocano l’impegno per la pace tra di noi e con tutte le creature.

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Tale dialogicità nel segno dell’alleanza trova la sua massima espressione nel NT nella persona di Gesù. Egli, secondo la visione cristiana, è il Messia atteso, colui che innanzitutto ha insegnato il dialogo e la pace: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9). Solo due beatitudini, questa e quella dei misericordiosi, parlano di comportamenti e non di atteggiamento. Alla lettera il termine greco eirênopoieō “lavorare per la pace”, “fare pace”. Non si tratta solo di riconciliarsi, ma di amare la pace. Non si tratta solo di pacifici o di pacifisti, ma di pacificatori. E per compiere tale opera l’incontro, il confronto e il dialogo è fondamentale.

Gesù, infatti, non solo ha fatto la pace, ha riconciliato i due popoli (Gentili e Giudei) unendoli in un solo corpo (cf Ef 2, 14-22), facendo saltare il muro della separazione, è una metafora, variamente interpretata, da alcuni come il muro che separava nel tempio di Gerusalemme il cortile dei Giudei da quello dei Gentili.

Egli infatti è la nostra pace (Autos gar estin hē eirênē hēmōn) colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne (en tē sarki autoû) (Ef 2,14)

Nella persona, nella sua, diremmo noi, divino-umanità, si riapre il dialogo fra vicini e lontani di allora, ma anche di oggi, e si sperimenta la pace. Può essere utile una riflessione a partire da “La crocifissione bianca” di M. Chagall, che dice bene una visione di pace che nasce dalla sofferenza inerme di Cristo insieme al popolo ebraico.

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Per approfondire:

Prospettiva sistematica

Perché dialogare con i credenti di altre religioni? Che cosa vogliamo ottenere con questo dialogo?

A chiunque sia capitato di introdurre il tema del dialogo interreligioso in una conversazione, sicuramente saranno state poste anche queste domande. In effetti il punto della finalità del dialogo interreligioso è fondamentale ed è tale da determinare tutto l’andamento di ogni iniziativa di dialogo.

Una risposta classica e sintetica a queste domande può essere una sola parola: PACE!

Il dialogo è per la pace, in vista della pace e si propone di costruire possibili percorsi concreti di convivenza e dialogo. Sicuramente ci possono essere altre legittime risposte, altre finalità molto pertinenti, ma quella della pace sembra racchiuderle tutte e proiettarle in un orizzonte alto e concreto al tempo stesso.

Su questo punto, va registrato anche il particolare approccio al dialogo interreligioso proposto da papa Francesco in Evangelii gaudium e poi sviluppato nel corso del suo pontificato. In quella esortazione apostolica, che ha un tenore dialogico complessivo, la trattazione specifica sul dialogo interreligioso è inserito all’interno della sezione IV intitolata «Il dialogo sociale come contributo per la pace», che a sua volta fa parte del capitolo IV dedicato a «La dimensione sociale dell’evangelizzazione». A ben vedere, però, i paragrafi dedicati al dialogo interreligioso sono ricchi di considerazioni e stimoli di spessore chiaramente teologico e spirituale, ma la caratura dell’intero discorso trova la sua specificità propria in orientamento di tipo “sociale” che trova sintesi nell’obiettivo della pace. Il dialogo, infatti, «è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (EG 250). Dal testo:

La ricerca della pace, allora, non può essere considerata obiettivo secondario, poco ambizioso, non foss’altro per l’evocazione del patrimonio biblico-teologico che essa porta con sé. In effetti, questa sottolineatura si è fatta sempre più evidente nei diversi interventi che hanno segnato in modo più significativo il magistero di papa Francesco su questo tema. Basti pensare all’importantissimo passaggio del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da papa Francesco e Ahmad al- Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar, fino al recente discorso tenuto in occasione del Forum in Barhain (4 novembre 2022). Interessante anche la cosiddetta Dichiarazione di Astana, del 15 settembre 2022 firmata dai capi religiosi convenuti in Kazakistan per il VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali.

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Questa feconda interazione tra dialogo, fraternità e pace è stata “consacrata” in modo inequivocabile nella singola enciclica Fratelli tutti, nella quale, tra l’altro, si dice chiaramente, citando i vescovi dell’India che «l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore» (Fratelli Tutti 271).

La finalità del dialogo tra credenti è dunque la pace. Un orientamento che assume i tratti della profezia, evitando di cadere in qualche forma di irenismo o all’apposto in un approccio di tipo “tattico” o diplomatico nell’iniziativa dialogica. Oggi, in modo particolare, i credenti sono chiamati a camminare insieme, a vivere quello scambio di doni che è il dialogo, non solo per realizzare la pace, ma per essere in questo stesso loro cammino una profezia di pace. Del resto, la categoria della profezia, mentre indica una meta “alta”, forse lontana, che può sembrare lontana o addirittura impossibile da conseguire, ricorda che quell’obiettivo finale, al di là da venire, diviene criterio che mette in discussione critica il presente.

In questo senso la voce dei credenti deve levarsi alta nel chiedere la pace e nel proclamare la pace di Cristo, proprio come ci mostra papa Francesco, non solo nei ripetuti appelli per la pace in Ucraina, ma anche per il continuo richiamo ai tanti scenari di guerra che affliggono il nostro mondo, alcuni di essi poco conosciuti dal grande contesto mediatico. È stata emblematica in tal senso la visita pastorale per la riconciliazione nella Repubblica Democratica del Congo e il pellegrinaggio ecumenico, insieme all’Arcivescovo di Canterbury e al Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, in Sud Sudan.

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La scelta della pace non vuol dire che si vuole limitare il dialogo ad un livello meramente sociale, che non implichi di fatto la dimensione esplicitamente religiosa, nel senso dell’interiorità. Il dialogo tra credenti, se è autentico deve sempre coinvolgere la dimensione interiore del credere e i contenuti di fede che vengono formalizzati nelle singole tradizioni. Nel comune orizzonte della fraternità e della pace, infatti, va tenuto conto lo specifico spessore del contributo offerto dai credenti proprio in virtù della loro “fede”, poiché «la fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare» (PAPA FRANCESCO – AHMAD AL-TAYYEB, Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019, n.1). Il credere, dunque, da sé è portato a tradursi in una prassi costruttrice di pace, poiché «l’uomo religioso, l’uomo di pace, si oppone anche alla corsa al riarmo, agli affari della guerra, al mercato della morte» (PAPA FRANCESCO, Discorso al Barhain Forum, 4 novembre 2022).

Come ha sottolineato in modo inequivocabile papa Francesco, c’è uno stretto legame tra il “culto a Dio” e la ricerca della pace (cfr. Fratelli tutti, 283). Il credente, homo religiosus e al tempo stesso “uomo di pace”, è chiamato ad essere un vero “artigiano di pace”, in grado di istruire percorsi di convivenza fraterna e pacifica. Nella recente visita nella Repubblica Democratica del Congo, il papa ha invitato i cristiani a fare proprio il saluto del risorto: “Pace a voi” (Gv 20,19), scrivendolo sui propri vestiti e fuori le proprie case.

Opera dell’artista ghanese Serge Attukwei Clottey