Tempio hindu di Arzignano (Vicenza) – Foto G. Cantele
Indicazioni generali
La complessità e la ricchezza delle forme dell’Induismo si riverbera nell’Induismo in Italia: non si incontra una presenza omogenea, ma piuttosto ci si deve misurare con molteplici esperienze.
“L’induismo non è una singola religione, ma un insieme di differenti tradizioni e filosofie. Rappresenta sia una religione sia un modo di vivere. Un’importante caratteristica della filosofia induista è l’ecclettismo e la tolleranza”. (Rapporto Eurispes 2019)
Secondo i dati del rapporto Eurispes del 2019, gli induisti in Italia sono circa 150.000 di cui 45.200 sono italiani convertiti.
L’Italia, dopo il Regno Unito, è il paese europeo con più fedeli indù. Dati più aggiornati recensiscono la presenza di 223.000 induisti, di cui 57.000 italiani convertiti.
Nel 2012 è entrata in vigore dopo un lungo iter l’Intesa tra la Repubblica Italiana e l’Unione Induista Italiana – Sanatana Dharma Samgha, che ha portato l’Induismo ad essere riconosciuto come religione, favorendone il consolidamento sul territorio italiano e rendendo possibili processi di integrazione e di mutuo riconoscimento. La firma dell’Intesa risale al 2007 e la ratifica del parlamento italiano giunge cinque anni dopo. L’Intesa permette l’assistenza religiosa dei ministri di culto indù nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie e negli istituti penitenziari. Inoltre, riconosce gli effetti civili ai matrimoni celebrati davanti ai ministri di culto dell’Unione Induista Italiana aventi la cittadinanza italiana. Con l’Intesa, l’Unione Induista Italiana partecipa alla ripartizione dei fondi dell’8 per mille del gettito IRPEF. L’Intesa riconosce il Dipavali o Diwali, Festa della Luce che cade tra la seconda metà di ottobre e la prima di novembre, come festività religiosa ufficiale per l’Italia.
La cultura indiana esercita una certa influenza sulla cultura italiana e riguarda soprattutto gli intellettuali e i ceti medio-alti, si tratta di una “fascinazione intellettuale”. Indubbiamente la diffusione della pratica dello yoga ha aperto punti di contatto tra l’Induismo e la cultura italiana, propiziando la diffusione di condotte alimentari vegetariane e di pratiche legate alla medicina ayurvedica.
Questo ha favorito una maggior conoscenza della cultura indiana in Italia, ma al tempo stesso si assiste, con una certa frequenza, a fenomeni di inculturazione dello yoga che lo decontestualizzano dalla cultura indiana, trasformandola profondamente.
Pesano ancora in Italia sulla percezione dell’Induismo preconcetti e pregiudizi, che hanno la loro radice in una superficiale conoscenza dell’Induismo stesso. In molti casi, la conoscenza dell’Induismo tra la popolazione italiana è superficiale, caricando di eccessivo significato alcuni aspetti (come la devozione alle vacche sacre) e non cogliendo la complessità di altri (come la complessa articolazione del divino tra unità e pluralità delle sue manifestazioni). Spesso il preconcetto dell’arretratezza e della violenza, arbitrariamente esteso a tutto l’Induismo, condiziona tanto il giudizio quanto le pratiche quotidiane della vita. Alcuni stereotipi (le caste, l’intoccabilità, le donne oppresse, ecc.) permangono nella cultura italiana diffusa. Senza dubbio, questi elementi – frutto dell’analfabetismo religioso diffuso in Italia – rappresentano un ostacolo ai processi di integrazione. Una maggior integrazione è possibile se nelle scuole si investono risorse per realizzare processi di conoscenza reciproca e di confronto.
Gli induisti stranieri
Le comunità induista immigrate sono eterogenee per provenienza e per tradizioni di riferimento, esse provengono nella maggioranza dall’India, dal Bangladesh e dallo Sri Lanka. La loro pratica religiosa tramanda i riti quotidiani appresi dalle generazioni precedenti ed è evidente come la famiglia giochi ancora un ruolo importante per i processi di iniziazione religiosa. Permane forte tra questi induisti il legame con la propria terra di origine.
Gli induisti stranieri, che vivono in Italia, sono una popolazione giovane con un livello di istruzione medio-alto; provengono principalmente dall’India, ma ci sono presenze considerevoli da Sri Lanka, Mauritius e Bangladesh. La decisione di lasciare il proprio paese è dettata spesso da ragioni personali e lavorative. Sovente dichiarano di voler restare in Italia definitivamente o almeno per un lungo periodo. La fede religiosa è un elemento rilevante della propria esistenza. L’identità culturale degli induisti stranieri si manifesta in una serie di pratiche. L’elemento più rilevante che costituisce l’identità culturale è la pratica religiosa (47,8%), seguito dalle abitudini e tradizioni (22,9%), poi dalla visione della vita (10,6%) e solo successivamente dalla comunità di riferimento (8,7%) e dai paesi di origine (5,2%). Tra tutte le pratiche religiose, le celebrazioni percepite come più importanti sono i festival induisti e la frequentazione dei templi induisti (oltre il 90% degli intervistati); meno frequenti sono i rituali domestici, l’osservanza dei voti (attorno al 60%); soltanto un terzo degli intervistati dichiara di praticare lo yoga.
Oltre la meta degli induisti stranieri residenti in Italia teme che le nuove generazioni dimentichino i valori professati dall’Induismo e poco meno della metà teme che siano influenzate negativamente dalla cultura occidentale.
Nel rapporto con le altre religioni prevalgono gli atteggiamenti di apertura segnati dal rispetto, dal reciproco interesse e dallo scambio; poco di più di uno su dieci si dichiara indifferente e il 2% manifesta un rifiuto. Un terzo degli intervistati dichiara di conoscere un esponente della Chiesa Cattolica, questo soprattutto nella fascia dei più giovani. Motivo di questa conoscenza potrebbe essere ricercato nelle attività proposte per i ragazzi dagli oratori delle parrocchie cattoliche.
Per quanto concerne l’integrazione, gli induisti stranieri che vivono in Italia si sentono liberi nell’espressione dei propri valori e percepiscono positivamente la loro presenza e l’accoglienza. Tuttavia, un terzo degli intervistati sente come distante e indifferente le istituzioni italiane verso i diritti e i problemi degli induisti. Denunciano spesso la deriva materialista della cultura italiana.
Gli induisti stranieri si sentono nel 70% delle interviste rappresentati dall’Unione Induista Italiana e di percepirla come tramite con le istituzioni italiane. Più della metà la riconosce come ente per la tutela dei propri diritti.
Gli intervistati manifestano aspetti interessanti a proposito della percezione dei non induisti sulla religione induista. I due terzi ritengono che i non induisti giudichino l’Induismo una religione politeista; così come è alta la percentuale tra gli intervistati che dichiara la percezione dell’associazione tra l’Induismo e le vacche sacre.
Gli induisti italiani
Gli induisti italiani sono una minoranza consapevole, che è venuta in contatto con la ricca cultura indiana, animata dal desiderio di approfondire la spiritualità personale. Spesso il primo contatto è avvenuto per il tramite delle pratiche dello yoga e della meditazione. La loro ricerca spirituale esprime la volontà di un percorso spirituale individuale. Spesso il loro cammino spirituale si è confrontato con lo studio dei testi sacri, segnato da una acquisita libertà di ricerca intellettuale.
Se si volesse tracciare un identikit dell’induista italiano, ci si può riferire con utilità al Rapporto Eurispes che offre alcune suggestioni: “Ci troviamo di fronte ad una persona che ha l’abitudine di rivolgersi alla propria religione praticando la disciplina dello yoga e studiando Scritture e testi sacri, soprattutto le donne, maggiormente attente ad osservare i rituali legati alla pratica religiosa. Mostra rispetto nei confronti delle altre religioni, verso le quali è disponibile per reciproci scambi; pratica volontariato, apprezza la storia e le tradizioni italiane ed è incline a sposare una persona di religione differente dalla propria”.
Oltre sette induisti italiani su dieci affermano che l’elemento più rilevante della loro identità religiosa consista nella visione della vita, impegnata a cogliere i segni del divino. L’86,7% degli intervistati dichiara di praticare lo yoga e il 72,5% di studiare regolarmente le Scritture sacre; alta è la percentuale di chi afferma di frequentare i templi (67,4%) e la metà è solita praticare i riti domestici. Spesso lamentano problemi per raggiungere i templi a causa delle distanze dalla casa o dal luogo di lavoro.
Il rapporto con le altre religioni è buono, segnato dal rispetto e dallo scambio reciproco. Circa il 2% dichiara di rifiutare le altre religioni.
L’Unione Induista Italiana è percepita come importante: quasi il 90% degli intervistati afferma di sentirsi rappresentato; il 75% la ritiene utile perché tutela i loro diritti e il 60% la sente come punto di riferimento in caso di necessità.
La metà degli intervistati avverte come problema la mancanza di conoscenza e dialogo tra la comunità induista e gli altri italiani, a causa di una scarsa conoscenza dell’Induismo da parte degli italiani. Gli equivoci più evidenti sono legati alla percezione dello yoga, considerato più come una forma di ginnastica che nella sua componente spirituale e religiosa.
L’Unione Induista Italiana
L’Unione Induista Italiana (https://www.induismo.it) rappresenta un punto di riferimento fondamentale per tutti gli induisti in Italia, sia per gli stranieri sia per gli italiani.
L’Unione Induista Italiana, Sanatana Dharma Samgha, è un ente religioso sorto per la tutela, il coordinamento, la pratica e lo studio della cultura e della religione induista ed è stata riconosciuta ufficialmente dallo Stato italiano come Confessione religiosa con Decreto del Presidente della Repubblica. L’Unione Induista Italiana, Sanatana Dharma Samgha, inizia le sue attività verso gli anni Ottanta, assecondando il desiderio di induisti italiani e stranieri di dare vita ad una associazione per la tutela dell’Induismo. Nel 1996 è fondata ufficialmente da Svami Yogananda Giri. In questi decenni vi hanno aderito numerose associazioni e scuole. Ha dato vita a monasteri e a templi, svolgendo un lungo lavoro con le comunità di immigrati. Condivide percorsi di dialogo interreligioso e intermonastico, favorendo la diffusione dei valori del pluralismo, della libertà religiosa e dell’uguaglianza.
Si pone come obiettivi la tutela dei diritti degli induisti in Italia, curando i loro interessi e rappresentandoli di fronte alla società civile e alle istituzioni. Attua percorsi per favorire i processi di integrazione, portando aiuto nelle problematiche che riguardano il lavoro, l’apprendimento della lingua e della cultura italiana e la comprensione delle normative. Promuove progetti educativi, con particolare attenzione ai valori della non violenza e dell’uguaglianza. Si pone come obiettivo la preservazione dell’autenticità dell’Induismo per evitarne travisamenti. Desidera far conoscere lo yoga nella sua natura di percorso ascetico.
Secondo il rapporto Eurispes, il 70,5% degli induisti stranieri (Eurispes, 63-64) e l’89,4% degli induisti italiani si riconosce nell’Unione Induista Italiana. Dal 2000 l’Unione Induista Italiana pubblica la rivista Induismo. Sanatana Dharma. Nel 2009 ha fondato la Casa Editrice Laksmi, per essere ponte tra le culture orientali e occidentali, curando la pubblicazione di opere dell’antica letteratura indiana, la traduzione di testi in sanscrito, la divulgazione di testi che promuovono il dialogo interreligioso.