THE OLD OAK

Filmografia.

The Old Oak

Regia Ken Loach, 2023 | 113’

Intro

Il regista britannico Ken Loach, classe 1936, con una filmografia densa di titoli significativi, due volte Palma d’oro al Festival di Cannes, è un punto di riferimento nel cinema di impegno civile, attento alla condizione degli ultimi, tra lavoratori precari e disoccupati. Con i suoi titoli recenti “Io, Daniel Blake” (2016) e “Sorry We Missed You” (2019) ci ha consegnato delle suggestioni struggenti sulla società inglese ed europea. Nel 2023 è tornato dietro alla macchina da presa con “The Old Oak”, scritto insieme Paul Laverty, una storia di sofferenza ma anche di ritrovata fiducia. Cinema di impegno civile, duro e poetico, che rimette al centro la speranza.

La storia

2016, Inghilterra del Nord. In una cittadina un tempo legata all’attività mineraria e ora con un’economia implosa, segnata da povertà e diffusa disoccupazione, arrivano delle famiglie di profughi siriani. Gli abitanti rispondono con freddezza: c’è paura, non tanto del “diverso”, quanto di nuove bocche da sfamare. E così si verificano episodi di odio e intolleranza. A dare un cambio di passo alla situazione sono il proprietario di un pub, TJ Ballantyne, e una ragazza siriana, Yara. Insieme organizzano dei pranzi domenicali per la comunità. Da lì (ri)parte il dialogo, il cammino di convivenza solidale…

Temi

Con “The Old Oak” Ken Loach picchia duro, invitandoci a guardare nelle zone d’ombra della società. Ci regala un altro magnifico quadro sociale, livido sì ma anche denso di speranza. Ci parla di ultimi, del nostro presente, tra lavoratori in affanno, nuovi poveri e migranti siriani. Un’umanità che sulle prime fatica ad andare d’accordo, a causa di pregiudizi e timori. A unire alla fine è il coraggio di una giovane fotografa siriana e di un cinquantenne inglese. È una tavola imbandita di cibo e storie di radici, tradizioni, in un vecchio pub; lì si forma una nuova comunità, rigenerata e includente. Sboccia finalmente l’armonia, quella che ben riassume la frase ricorrente nel film: “When We Eat Together, We Stick Together”. “Quando mangiamo insieme, siamo davvero uniti. Formiamo una comunità”. Due i personaggi in evidenza. Da un lato la giovane Yara (Ebla Mari) che con la sua macchina fotografica inquadra il mondo, cogliendo fratture ma anche lampi di tenerezza. Lei è un po’ come una narratrice silenziosa che osserva, ascolta, si mette sulla soglia in attesa che qualcuno rompa la diffidenza e apra alla costruzione del dialogo, di un ponte tra le due comunità. Yara trova un alleato in TJ (Dave Turner), il gestore del pub, personaggio di grande rilevanza nel racconto, un ultimo tra gli ultimi che prova a smuovere l’immobilismo che lo circonda. TJ è ferito dalla vita, ha perso tutto, dalla sicurezza economica alla famiglia; gli rimane solo il piccolo cane con cui trascorre il tempo, cane che però l’ignoranza e la cattiveria di giovani senza domani gli portano via brutalmente. A TJ sembra non restare altro che la resa, la sconfitta, il pensiero del suicido: a salvarlo è proprio la richiesta d’aiuto che arriva da Yara, dalle famiglie siriane, che non hanno sì più nulla, ma sono comunque portatrici di calore e slanci solidali. Tra ultimi ci si aiuta. Tra ultimi ci si sostiene. E così Yara e TJ si mettono in marcia per costruire qualcosa di grande, per mettere la prima pietra di una speranza rinnovata. Per tutti. “La solidarietà – indica Ken Loach – rappresenta la nostra forza. Un giorno dovremo essere così organizzati e determinati da fare in modo che la solidarietà possa porre fine alla sofferenza e alla necessità di ricorrere alle lotte. Abbiamo già aspettato troppo a lungo”. Il regista britannico si conferma un granitico avamposto per i diritti dimenticati, custode di un’umanità disgraziata; maestro di un cinema di impegno civile che scuote lo sguardo e cura l’animo distratto.

Lo sceneggiatore Paul Laverty

“Come la disperazione, l’ingiustizia e la mancanza di organizzazione nelle nostre vite (…) portano alla paura e all'odio? Come reagisce una comunità traumatizzata quando viene a contatto con una diversa comunità?”. Sono gli interrogativi che si pone lo sceneggiatore Paul Laverty, che aggiunge: “Un’altra questione che ci affascinava è quella relativa a cosa scegliamo di vedere. Da questa domanda è nato nella nostra mente il personaggio di Yara, che ci ha aiutato a far partire la nostra storia. La curiosità di vedere, di capire, esiste. Nelle comunità del Nord Est abbiamo incontrato alcune persone straordinarie che hanno dimostrato proprio questo con i siriani appena arrivati; il che pone l'eterna questione della speranza: da dove nasce e come possiamo alimentarla per dar vita al cambiamento? La speranza è un concetto con il quale ci siamo dibattuti fin dalle prime discussioni su questa storia. In effetti è qualcosa che ci ossessiona fin dalle nostre prime collaborazioni, che risalgono all'inizio degli anni '90”.

Focus - Dialogo

Con “The Old Oak” Loach fotografa le fratture della società, cui la risposta non può essere chiusura o isolamento ma il mettersi in gioco nel dialogo. Attraverso l’esperienza della piccola comunità inglese l’autore offre una potente e poetica suggestione: solo attraverso la disponibilità all’incontro, superando sospetto e pregiudizi, si può edificare una comunità accogliente e solidale, dove tutti possono trovare posto. Un’opera-testimonianza attenta e vibrante, che conquista per il suo messaggio sociale. Il racconto si presta all’approfondimento del dialogo interculturale e interreligioso, anche se l’aspetto strettamente religioso è posto dal regista in secondo piano.

Valutazione pastorale

Consigliabile, problematico, adatto per dibattiti Cfr. Commissionefilmcei.it  

Tag

Lavoro, povertà, integrazione, emigrazione, immigrazione, dialogo, famiglia, amicizia, solidarietà, cibo, comunità, speranza.

CREATO DA
Servizio informa…