Loading

Sikh Attualità - 1

Foto di Katiuscia Carnà

La simbologia e l'esteriorizzazione del religioso nelle donne sikh

Sikh, tra simbologie e immaginario mediatico

Il panorama italiano degli ultimi tre decenni pone interrogativi del tutto nuovi e di grande interesse sociale. Le comunità migranti diventano sempre più stabili economicamente e socialmente, grazie alla possibilità di ricongiungersi con le loro famiglie nel Paese ricevente. La questione di genere pertanto risulta importante da approfondire e analizzare, come parte integrante della complessità delle comunità in diaspora.

“L’equilibrio della composizione per genere e la distribuzione della popolazione per classi d’età aiutano a comprenderne il grado di integrazione nel territorio, evidenziando le situazioni di maggiore stabilità demografica, legate ai ricongiungimenti familiari e alle nascite. La comunità indiana non risulta equilibrata sotto il profilo di genere: gli uomini rappresentano il 58%, mentre le donne coprono il restante 42%, si segnala tuttavia un equilibrio superiore rispetto a quello rilevato per le altre comunità provenienti dal sub-continente indiano. La migrazione indiana ha visto inizialmente protagonista la componente maschile su cui si è riversato l’investimento – economico, ma anche emotivo - dei nuclei familiari nel Paese di origine; tuttavia, nel corso degli anni sono andate aumentando le presenze femminili - la cui incidenza in soli 5 anni è passata dal 39% al 42% -, a segnalare una progressiva stabilizzazione sul territorio.” (Cfr. La comunità indiana in Italia. Rapporto annuale sulla presenza dei migranti, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2021, pag.8)

Se da un punto di vita sociale assistiamo a questo cambiamento demografico e di presenza sul territorio, nell’immaginario sociale invece la comunità sikh, è presente tra stereotipi e falsi miti già da molto tempo.

Infatti, la comunità sikh, come quella islamica, in Italia e in Europa, è stata a lungo sotto i riflettori a fianco alla cronaca giornalistica anche a causa della propria esteriorità. Le simbologie religiose che vanno confondendosi con ideologie fondamentaliste mettono in allerta le popolazioni, alterate e sollecitate da mass-media, poco corretti e spesso poco attenti alle diversità, alimentando odio e stereotipi.

Sia il Sikhismo che l’Islam, infatti, prevedono simbologie identificative importanti nell’immaginario sociale. Lo stereotipo paragona alcuni simboli religiosi, come per esempio il vestiario, a imposizioni familiari e/o comunitarie (es. il velo e il turbante). Quello che si può osservare è che nella comunità sikh come in quella islamica, approfondendo la questione di genere, molte ragazze sono libere di fare le proprie scelte, esteriorizzando o meno la propria religiosità. È al contempo vero che l’educazione familiare e religiosa ricevuta sin da piccole e il contesto comunitario e sociale in cui crescono condiziona anche le scelte che apparentemente possono sembrare “libere” da ogni condizionamento.

Simbologie religiose e identitarie

Il Sikhismo è contraddistinto da un forte simbolismo religioso che rafforza il senso identitario soprattutto nella diaspora.

L’appartenenza identitaria e comunitaria caratterizza la maggior parte della popolazione sikh in India e nel mondo, come del resto succede e si rafforza anche ad altre comunità che nella Storia hanno subìto genocidi e persecuzioni. Il loro riconoscersi sikh significa identificarsi nella totale dedizione al “khalsa” (lett. ‘puro’), ovvero alla “fratellanza sikh mondiale”.

In un testo sacro sikh, conosciuto come il “Codice di corretta condotta”, ove vengono date indicazioni rispetto la vita del fedele sikh (Sikhi Rehat Maryada), un uomo o una donna sikh possono definirsi tali dal momento che svolgono un rito di iniziazione alla comunità religiosa, denominato “amrit”, che spesso definiscono in lingua italiana “battesimo” per far comprendere la comparazione con il sacramento cristiano. Dal momento dell’“amrit” è necessario seguire tutte le prescrizioni religiose.

Si è membri del “khalsa” al di là del sesso, lo è una donna quanto un uomo, al suo pari. Essere membri del “khalsa” significa mettersi al servizio della comunità ed esteriorizzare la propria appartenenza.

Le simbologie religiose che vengono indicate sia per una donna che per un uomo sono cinque e iniziano tutte per k, pertanto definite i “cinque Kakkar”:

  • kesh: capelli mai tagliati (l’indicazione di non tagliare capelli e peluria vale sia per gli uomini che per le donne)
  • kangha: pettine di legno indossato nel kesh
  • kara: bracciale di acciaio da indossare sempre
  • kirpan: pugnale sacro da indossare sempre sotto le vesti (possibilmente poco visibile)
  • kach: pantaloncini (tipo boxer) utilizzati come biancheria intima

Foto di Stefano Romano

A fianco delle simbologie religiose sopra indicate, tutte le donne appartenenti al “khalsa” sono facilmente riconoscibili e identificabili anche dal cognome femminile “Kaur”, previsto per tutte le donne ed ha una doppia valenza: “leonessa” e “principessa”; opposto del maschile Singh, (lett. “leone”) sinonimo di orgoglio, forza e coraggio.

Quindi la forza, il coraggio e il rispetto viene dato alle donne al pari degli uomini sia nell’identificazione sia nelle simbologie religiose. Questo avviene per uomini e donne di ogni casta ed età, concetto rivoluzionario per quella che è la stratificazione sociale indiana che da millenni caratterizza, più o meno ufficialmente, il sistema gerarchico indiano.

Sebbene ci sia parità a livello di simbologie religiose, attualmente in India e nella diaspora, il numero delle donne che indossano ogni simbologia religiosa prescritta è ancora nettamente inferiore a quello degli uomini. Questo avviene per libera scelta individuale. Una donna può decidere di indossare il turbante e le altre tipologie di copricapo o di non farlo affatto o di farlo a partire dall’amrit (da notare che spesso tanti sikh, uomini e donne, non fanno il rituale di iniziazione, ma si sentono comunque appartenenti al khalsa. Questo avviene in India come nella diaspora). Ad ogni modo, spesso le donne in pubblico indossano un velo che possa coprire il capo e i capelli.

Il turbante e il significato identitario al femminile

Il turbante è la simbologia che in modo più esplicito in assoluto permette ad una donna di identificarsi come sikh, al di là del genere, di andare oltre quel sistema patriarcale che da secoli affligge l’India e quindi anche il Punjab.

Infatti, se da una parte il sistema religioso e le prescrizioni religiose indicano una parità tra sessi e un’uguaglianza quasi unica nel suo genere, al contempo però non c’è da dimenticarsi che il Sikhismo nasce in India, in un contesto sociale caratterizzato da un forte patriarcato decisionale e gerarchico che influisce molto sulla vita delle donne indiane.

Dall’esperienza sul campo di interviste e osservazioni svolte in occasioni di festività, per le ragazze sikh che hanno deciso di indossare il turbante, per loro è simbolo identitario per poter esteriorizzare la propria appartenenza religiosa come donne/ragazze sikh alla società italiana e al contempo trovare parità all’interno del “religioso comunitario”.

Il turbante rappresenta l’essere sikh, per una donna così per un uomo. Diventa così parte integrante della vita quotidiana, del corpo femminile, la libertà di essere sikh e di credere negli insegnamenti del Guru. Il turbante indossato dalle donne si chiama dumalla ed è una delle due tipologie indossate anche dagli uomini, lo caratterizza una forma più cilindrica, lo stesso che viene indossato nelle arti marziali.

Il dumalla dovrebbe essere di quattro colori: giallo/arancione, nero, bianco e blu. Si possono indossare anche altri colori, ma questi sono i preferiti perché facilmente riconoscibili da tutti i sikh nel mondo (permettono di non confondersi con tipologie di hijab islamico o turbanti dei fedeli hindu o altre modalità alla moda di legarsi i capelli).

Per ulteriore approfondimento: https://www.basicsofsikhi.com/post/things-to-consider-when-wearing-a-dumalla

Foto di Stefano Romano

Foto di Stefano Romano

Per molte di queste donne, il turbante diventa simbolo di fede, ma anche di pace e gioia interiore, data dalla spiritualità che ne scaturisce, come avvicinamento agli insegnamenti del Guru.

Trattandosi di un fenomeno ancora poco diffuso, le donne sikh che indossano il turbante in Italia sono forse solo il 10%, ma molte di più sono, invece, quelle che cercano una parità/uguaglianza di genere.

Al contempo, indossare il turbante e le altre simbologie religiose nel contesto socio-lavorativo italiano non è facile e diverse donne (anche uomini) hanno riscontrato problematiche.

Come esempio di queste problematiche riportiamo il caso di una donna che non ha potuto iniziare il tirocinio obbligatorio per il conseguimento della Laurea in Infermieristica a Brescia, in quanto non le era permesso indossare in ospedale il “kirpan”, il pugnale sacro, considerato “un’arma bianca”.

Emerge chiaramente l’importanza del pugnale sacro e delle altre simbologie religiose nel vivere la propria religiosità e allo stesso tempo di conciliare anche la vita quotidiana e lavorativa. Se da una parte rappresenta l’orgoglio di essere membri di una comunità religiosa che professa la parità di genere, allo stesso tempo permette di esteriorizzare alla società ricevente la propria identità, la propria diversità e l’orgoglio di una scelta.

L’identificazione comunitaria e l’esteriorizzazione delle simbologie religiose nel paese d’approdo rappresenta il modo in cui la donna sikh può essere sé stessa e manifestare la propria identità. Negli ultimi anni, sebbene il turbante sia stato al centro di alcune polemiche per quanto riguarda l’accesso negli aeroporti, le direzioni aeroportuali sembrano pertanto aver compreso che privare i sikh e le sikh del turbante nell’ambito dei controlli rischia di essere un atto irrispettoso nei confronti del credo religioso, per questo motivo si opta quasi sempre per il metal detector o, in caso di necessità, per controlli privati in sale adibite a questa funzione, al di là degli sguardi indiscreti degli altri passeggeri.

Foto di Katiuscia Carnà

Questa necessità di delineare ed evidenziare la propria identità religiosa appartiene tanto agli uomini quanto alle donne, desiderose di evidenziare il principio di uguaglianza sociale del Sikhismo che eguaglia il ruolo della donna a quello dell’uomo. Al contrario, le donne che scelgono di non indossare il turbante, spiegano la propria decisione di non indossare nessun simbolo religioso come una modalità di vivere una religiosità intima, privata, non necessariamente da esteriorizzare in pubblico o da mostrare alla comunità di appartenenza.

In entrambi i casi si tratta di due modalità di vivere la propria religiosità, in modo personale e consapevole. Sebbene ci sia questa libertà di scelta di indossare o meno le simbologie religiose, rimane e non è escluso l’obbligo inderogabile per tutti di coprire il capo nei luoghi sacri, sia per le donne che per gli uomini, anche per i non sikh.

In conclusione, si può affermare che le simbologie religiose vengono sublimate verso una concezione quasi trascendente, secondo la quale chi le indossa sente di essere più vicina a Dio.

Foto di Katiuscia Carnà

Approfondimenti/bibliografia:

  • Bertolani B., Il singolare pluralismo dei giovani sikh. Mondi Migranti, 2, dicembre, 101-15.
  • Duprè A., Quale ruolo ha la religione nei processi migratori?, Atti del Convegno Migrazione e religione in un mondo globalizzato, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Rabat, 5-6 dicembre 2005.
  • McLeod H. W., Who is a sikh? The problem of sikh identity, Clarendon Press, Oxford, 1989.
  • Pace E. (a cura di), Le religioni nell’Italia che cambia, Mappe e Bussole, Carocci Editore, Roma, 2013.

Web: