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Pastorale. Oltre la figura: il sacro nell'estetica islamica tra tradizione e modernità

Oltre la figura: il sacro nell'estetica islamica

tra tradizione e modernità

Nel corso dei secoli, l’Islam ha spesso suscitato riflessioni e domande riguardo alla rappresentazione del Sacro attraverso le immagini. L’aniconismo, vale a dire la tendenza ad evitare la raffigurazione di esseri viventi, soprattutto legati alla figura di Dio e dei Profeti, è una caratteristica distintiva dell’Islam. Questa pratica, non deve essere considerata una semplice proibizione, ma è prassi radicata sia nella visione teologica che in quella culturale che ha profondamento influenzato l’arte islamica. Nel Corano non è presente un chiaro divieto alla rappresentazione di immagini, ma vi è un versetto che recita “Non c’è niente che gli somigli” (Q. 42:11). Questo versetto indica l’unicità di Dio e pertanto nessuna immagine o rappresentazione può essere simile a Lui.   La proibizione della rappresentazione di immagini trova maggiormente spazio negli aḥādiṯ, vale a dire nelle narrazioni che riportano le parole o gli atti di Muḥammad.

Ad esempio, vi è un ḥadiṯ che narra:

Ho preparato del cibo e ho invitato il Profeta (Su di Lui la pace e la benedizione di Allah) ad entrare. Egli venne ed entrò, poi vide una tenda su cui erano raffigurate delle immagini, così che uscì e disse “Gli angeli non entrano nelle case in cui ci sono delle immagini”

(Al-Nasā’ī. Kitāb al-Zīna min al-Sunan, Darussalam, Ryad, vol. 6, libro 48, ḥadiṭ 5353 - versione digitale 2009)

Ed ancora:

“Nel giorno della Risurrezione gli uomini che riceveranno da Dio i castighi più terribili saranno i pittori (musawwir)”

(Al-Buḫārī, ḥadiṭ 89 in Detti e fatti del profeta dell’Islam, Torino, Utet, 2009)

Questo poiché tra i novantanove bei nomi di Dio vi è quello di Al-Muṣawwir, vale a dire “Colui che dà forma” e solamente Lui può creare e rappresentare, l’essere umano che simula l’atto della creazione si ribella all’onnipotenza di Dio.

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Un altro episodio della vita di Muḥammad che può essere facilmente collegato al divieto di rappresentazione di esseri viventi è la distruzione, ordinata dal Profeta dell’Islam stesso, dei trecentosessanta idoli presenti nella Ka’ba, sebbene non vi sia certezza delle caratteristiche di questi feticci, probabilmente erano delle statue in legno o in pietra o delle immagini. Questo episodio rafforza l’idea della proibizione nella religione islamica del divieto di raffigurare Dio o i Profeti. Per rispettare l’aniconismo, all’interno della società islamica, nel corso dei secoli si sono sviluppate delle forme di arte alternative, come ad esempio la calligrafia. La scrittura dei versetti coranici è stata elevata a forma d’arte considerata pura e sacra poiché rappresenta la Parola di Dio, la maggior parte delle moschee – antiche e moderne – o dei luoghi istituzionali o accademici (come, ad esempio, la facoltà di studi islamici della Hamad bin Khalifa University di Doha, in Qatar), sono stati decorati con citazioni coraniche. Un altro elemento distintivo dell’arte islamica è l’arabesco, caratterizzato da motivi ornamentali che si ispirano a forme vegetali e a figure geometriche ripetute che rappresentano l’ordine cosmico e l’unità di Dio (tawḥīd).  

L’arabesco e la calligrafia araba, elementi tipici dell’estetica islamica, continuano a esercitare un forte fascino anche nelle nuove generazioni, in particolare tra i Millennials e la Generazione Z. La street art contemporanea rappresenta una delle espressioni più dinamiche di questa tendenza, offrendo spazi in cui forme tradizionali vengono rilette in chiave urbana, visiva e spesso interculturale. Ne sono un esempio El Seed, artista franco-tunisino che utilizza la calligrafia araba per i suoi murales riportando spesso versetti coranici. I suoi graffiti sono presenti in grandi città come ad esempio Doha, il Cairo o Tunisi e le sue opere vengono spesso esposte in mostre internazionali (come la Tashkeel di Dubai, la Galleria Patricia Armocida a Milano e l’Art Talks Gallery del Cairo). In Italia, segnaliamo la presenza di Mosa One, giovane street artist egiziano che ha realizzato un murales incentrato sul dialogo interreligioso sulle mura della Chiesa di San Felice di Centocelle, realtà multiculturale nella periferia romana.

Come precedentemente osservato, la rappresentazione figurativa di esseri viventi è generalmente considerata illecita nell’ambito della tradizione islamica, con particolare rigore quando essa coinvolge le figure profetiche. La raffigurazione del profeta Muḥammad è ritenuta ḥarām (proibita), in quanto contraria ai principi di aniconismo propri dell’Islam. Nelle rare eccezioni storiche in cui Muḥammad viene comunque rappresentato, come accade in alcune miniature – soprattutto di ambito persiano e ottomano – il suo volto appare sistematicamente coperto da un velo bianco, simbolo di purezza, oppure celato da una fiamma, la quale funge da elemento metaforico della sua sacralità e trascendenza.

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Se la rappresentazione di esseri viventi attraverso la pittura o la scultura è una pratica proibita nell’Islam, le fotografie sono invece lecite. Questo perché non vengono realizzate “a mano” ma in modo meccanico. Ad esempio, l’egiziano Yūsuf al-Qaraḍāwī (1926-2022, è stato un teologo musulmano qatariota-egiziano, è stato a capo dello European Council for Fatwa and Research) sosteneva che le fotografie ed i video rappresentavano la realtà e di conseguenza possono essere consentite poiché non vi è imitatio Dei. Nuh ‘Ali al-Quda (1939-2010, è stato un teologo giordano, gran mufti di Giordania dal 2007 al 2010), riteneva che le fotografie potessero essere considerate ḥalāl a patto che queste non contengano elementi che incitano alla corruzione, alla tentazione o provocano desideri, ciononostante, secondo lo studioso giordano andrebbero comunque evitate. A meno che non si faccia riferimento alle immagini educative usate per l’insegnamento ai bambini, a fini medici e simili, in questo caso è permesso usarle secondo necessità.

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Per concludere, sebbene il Corano non vieti esplicitamente la rappresentazione delle immagini, ḥadiṯ, e la tradizione giurisprudenziale ne limitano l’uso, soprattutto per quanto riguarda la figura del profeta Muḥammad. Le rare eccezioni storiche confermano il rigore di questo principio, mentre il dibattito contemporaneo su fotografie e immagini digitali evidenzia nuove sfide legate all’evoluzione tecnica e culturale.

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