Resistenza in Sabina di Lucrezia Marini

Lucrezia Marini - 25 marzo 2024

L'8 settembre 1943 è una data che segna nel profondo le coscienze degli italiani.

Solo 45 giorni prima era caduto il fascismo ed era stato destituito Mussolini, e il nuovo Capo del Governo, Badoglio, firmò l'armistizio con gli Alleati.

Alle prime luci dell’alba, si scorgono i carri “Tigre” di Rommel, uno dei più importanti generali tedeschi, chiamato la “volpe del deserto”.

Il re Vittorio Emanuele III, il principe Umberto, Badoglio e Roatta che era il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, fuggono verso Pescara, per poi rifugiarsi al Sud che era già stato liberato dagli angloamericani.

L’esercito non ha più ordini e si sfalda.

Il malcontento è molto diffuso in Italia, nel frattempo il numero dei caduti e dei prigionieri è in continuo aumento.

Nelle regioni centro-settentrionali i partigiani prendono le armi per respingere l'occupazione tedesca.

I partigiani che si organizzano nella resistenza contro l'esercito nazifascista, provengono da diversi ceti sociali e hanno diversi ideali politici, ma insieme vogliono rovesciare il regime e liberare l'intera Italia. Si rifugiano in montagna e nelle valli, dormono all'aperto o in stalle con una sentinella sempre di guardia per avvertire in caso di rastrellamenti nazifascisti. Con il tempo i partigiani si organizzano in Brigate.

Brigate sabine

Subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 anche in Sabina si formano le prime brigate resistenziali in cui sono presenti militari, antifascisti, alcuni soldati inglesi fuggiti dal campo di concentramento di Farfa e molti giovani di vent'anni o poco più. Nella Bassa Sabina (Stimigliano, Magliano Sabino, Cantalupo, Casperia e Calvi dell’Umbria) si costituisce così la formazione partigiana denominata Banda d’Ercole, che prende il suo nome dall'ex ufficiale Patrizio D’Ercole che li guida e dà loro un’organizzazione. La banda D’Ercole è collegata al Fronte clandestino militare di Roma guidato dal colonnello Montezemolo, che sarà trucidato alle fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.

Il compito della banda d'Ercole consisteva nel recuperare le armi, nell'attaccare i presidi tedeschi e fascisti, distruggere le liste di leva e fare propaganda tra i giovani perchè non rispondessero alla chiamata alle armi.

Dopo l'armistizio, nella zona di Poggio Mirteto si costituì una Squadra di Sabotaggio, che iniziò ad operare con attentati lungo la linea ferroviaria Roma- Firenze.

L’attentato alla Stazione di Poggio Mirteto

All’alba del 19 settembre del 43’ un gruppo di partigiani, appartenenti al gruppo di Redento Masci, fa un attentato alla Stazione di Poggio Mirteto facendolo sembrare casuale per evitare rappresaglie dei tedeschi. Lanciano sotto un vagone del treno, da cui gocciolava della benzina, una sigaretta accesa e si allontanano velocemente. Scoppia un incendio, bruciano tre vagoni carichi di munizioni e carburante e quattro carichi di grano requisito dai tedeschi, pronto per essere spedito in Germania.

L’attentato al ponte di Galantina

I partigiani della Brigata Stalin il 29 settembre bloccano i collegamenti ferroviari per impedire il rifornimento delle truppe tedesche facendo saltare un piccolo tratto del ponte di Galantina, sul torrente Aia. Ma non essendoci acqua i tedeschi ripristinarono il tratto in soli 20 giorni. Dal comando partigiano di Roma arrivano nuovi ordini di far saltare completamente il ponte ferroviario Galantina. Un gruppo di venti uomini partono nella notte tra il 23 e il 24 ottobre trasportando sulle spalle il tritolo, ma vengono colti all'improvviso da sentinelle tedesche e decidono di far scoppiare l'esplosivo per non lasciarlo nelle mani del nemico. Tra gli spari fuggono e tornano a Poggio Mirteto, arrivati si accorgono della mancanza di Mario Dottori che è stato colpito a morte, lui è la prima vittima partigiana della Resistenza Sabina di cui conosciamo l'esistenza. Come tutti i partigiani era privo di documenti, per evitare che in caso fossero stati presi dai tedeschi, i loro familiari, amici e concittadini venissero perseguitati. Fu sepolto a Gavignano Sabino e solo alla fine della Guerra gli fu data una degna sepoltura e riportata la sua salma nel cimitero di Poggio Mirteto.

L'operazione uovo di Pasqua e la battaglia del Monte Tancia

Il 7 aprile, venerdì santo di Pasqua, i tedeschi avanzano sul monte Tancia, dopo un’intera giornata di durissimi scontri.

I partigiani della banda Stalin, per fermare l'avanzata, si dividono in tre gruppi: i partigiani di Poggio Mirteto, di Gavignano e il gruppo dei romani.

La battaglia è violentissima, i partigiani sono senza munizioni e vengono accerchiati, si decide per la ritirata e riescono a fuggire grazie alla copertura dei romani. Alcuni di loro, però non riescono a sopravvivere e soltanto un mese dopo la battaglia, il parroco di Bocchignano e cappellano della banda Stalin, don Igino Guidi, ottenne dai tedeschi l'autorizzazione di cercare sul monte i corpi dei caduti. All'Arcucciola seppellisce i corpi in una fossa comune.

I soldati nazifascisti, per ripicca nei confronti dei partigiani che avevano ucciso molti soldati tedeschi, bruciarono le casupole sparse sulla montagna e massacrarono tutti i civili che trovarono sul massiccio, tra cui sette bambini dai 2 agli 11 anni. Anche gli animali subirono la stessa sorte di donne, anziani e bambini e dei partigiani dell'Arcucciola.

In quei giorni di aprile del 1944, il rastrellamento delle truppe tedesche si concluse con la morte di un centinaio di cittadini inermi e di partigiani.

I nazisti battezzarono, con il loro solito disprezzo, quest'operazione “Osterei”, uovo di Pasqua.

Nel Venerdì Santo del 7 aprile, il parroco di Leonessa, don Concezio, mentre stava servendo messa, fu avvertito dalla madre che i tedeschi lo stavano cercando, ma fu inutile. Un cippo ricorda le cinquantuno vittime di quel rastrellamento.

Dopodichè tedeschi e fascisti ritornarono a Rieti portando via sia civili che partigiani, alcuni dei quali furono trucidati alle Fosse Reatine, così denominate in ricordo degli uccisi. Nel 2005 alla provincia di Rieti fu conferita una Medaglia d'argento al merito civile.

Monumento in ricordo dell’Eccidio del Monte Tancia – Monte San Giovanni in Sabina (RI)
Il monumento ai caduti del Tancia.

In ricordo di quel terribile Venerdì Santo del 7 aprile del ’44, in cui persero la vita soprattutto civili, in massima parte donne e bambini, è collocato, in un’area verde recintata sul Monte Tancia, un monumento costituito da due grandi lastre di marmo e un cippo.

Il cippo è collocato su un basamento ed è sormontato da una croce. Su di esso è collocata una lastra che riporta un'incisione che invita al ricordo di quel terribile Venerdì Santo.

Le due lastre sono posizionate ai lati del cancello. Una riporta la data della sua collocazione, il 25-9-2010, ad opera dell’amministrazione comunale di Monte San Giovanni in Sabina e un messaggio che invita a fermarsi, a riflettere e pregare nel rispetto di coloro che vennero lì trucidati. L'altra, collocata il 7-4-2011, ad opera dell’amministrazione comunale di Monte San Giovanni in Sabina e della Comunità Montana V zona, riporta l’iscrizione in ricordo della Medaglia d’argento al valor civile, conferita il 25-9-2010 al Comune di Monte San Giovanni per l’eccidio del 7-4-1944.

Eccidio delle Fosse reatine

Il 9 aprile 1944, domenica di Pasqua, 15 partigiani vennero prelevati dal carcere di Santa scolastica e portati in quello che oggi è il quartiere di Quattro Strade alla periferia nord di Rieti. Qui furono fucilati e sepolti in una fossa comune, ricavata da un buca: un anno prima era caduta una bomba da un aereo, che probabilmente mirava a danneggiare il vicino aeroporto.

Al termine del conflitto, in ricordo dei martiri il luogo venne denominato "Fosse Reatine" e sul bordo della strada fu collocato un cippo con una breve iscrizione.

La maggioranza dei partigiani uccisi apparteneva alla Brigata Garibaldi "Antonio Gramsci" e tra loro c'erano vari esponenti della Resistenza reatina.

Le donne della Resistenza

L'altra metà della storia

Nella Resistenza civile, sono presenti anche moltissime donne, che erano fondamentali per il sostegno dei combattenti e per il rifornimento di viveri e informazioni. Molte tra le più giovani sono staffette in bicicletta e trasportano beni di prima necessità, fondi e comunicazioni da una brigata all'altra o dalla città alla montagna, dove erano nascosti i partigiani.

Altre invece sono a fianco degli uomini anche nelle azioni di guerriglia e sabotaggi, rischiando la vita come loro, come ad esempio le partigiane romane Carla Capponi, Marisa Musu e Lucia Ottobrini.

La piccola staffetta partigiana Oriana Fallaci

Erano migliaia tra staffette e combattenti le donne che hanno fatto la Resistenza. Perché la Resistenza per loro non era solo imbracciare un fucile, ma si trattò anche di una guerra per la loro emancipazione. Infatti, i loro compagni partigiani, seppur avendo bisogno di loro, criticavano la loro scelta di “abbandonare il focolare”.

Il 25 aprile 1945, sfilano insieme ai compagni partigiani per le strade liberate.

Nonostante l'impegno nella Resistenza, molte donne sono rimaste nell'anonimato, e non hanno richiesto il riconoscimento di “partigiana combattente”.

Le informazioni di cui oggi disponiamo sulle donne della Sabina, sono storie di donne protagoniste dell'eccidio del Tancia, storie che ci raccontano il loro coraggio, dove alcune di loro hanno dato la loro vita per salvarne altre. Ma la storia si sta ancora ricostruendo. Ad oggi non troviamo molte informazioni riguardanti le donne partigiane della Sabina, che sicuramente ci sono state, così come in tutta Italia. Fortunatamente, riusciamo a risalire ad alcune di loro tramite le testimonianze.

Come la moglie di Emilio Fiori, fam. Di Montopoli, di cui conosciamo la storia grazie alla testimonianza della figlia, Ilva Fiori: la madre riforniva i partigiani ed era stata denunciata per questo motivo da un civile al comando dei carabinieri di Poggio Mirteto. Infatti la donna cucinava il pane e la sera passavano i partigiani a rifornirsi di cibo oppure lei inviava i figli al Tancia. La figlia racconta che dopo la denuncia è stata messa in galera e interrogata, ogni giorno, per un mese.

Anche le donne della Sabina sono state nella Resistenza, hanno fatto la storia e anche se non conosciamo il loro nome è giusto e doveroso onorarle.

TESTIMONIANZE di Partigiani e Partigiane Sabine

ⒸRIPRODUZIONE RISERVATA 25 marzo 2024, Lucrezia Marini