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Attualità. Swami Vivekananda

Swami Vivekananda

Swami Vivekananda è il nome monastico di Narendranath Datta (1863-1902). Si può tranquillamente affermare che chi è andato a scuola in India non può non conoscere Swami Vivekananda e il suo ruolo nella creazione dell'identità nazionale indiana. In riconoscimento dell'impegno di Swami Vivekananda nei confronti dei giovani ai quali dedicò numerosi progetti educativi, dal 1984 il 12 gennaio, giorno della sua nascita, viene festeggiato come National Youth Day mentre nello stato del Bengala Occidentale, dove egli era nato, lo stesso giorno è una festività statale. Il sito del ministero delle politiche giovanili e dello sport del governo indiano riporta che gli obiettivi di questa ricorrenza sono propagare il messaggio di Swami Vivekananda, ispirare il processo di costruzione della nazione e promuovere lo spirito di servizio e le attività di volontariato tra i giovani.

Egli fu un esponente del rinascimento bengalese, un movimento che nel diciannovesimo e primo ventesimo secolo si fece fautore della modernizzazione dell'India coloniale e contribuì al cosiddetto neoinduismo -un insieme di movimenti che in risposta agli stimoli della cultura occidentale e del cristianesimo, introdotti dai colonialisti, cercarono di reinterpretare e rivitalizzare l'induismo ponendo l'accento su principi etici come la nonviolenza, sulle riforme sociali, sulla centralità di specifici testi filosofico religiosi e sulle loro tendenze più spiccatamente moniste. Vivekananda si considerava un monaco dotto, un riformatore religioso e un missionario. I suoi scritti sono in realtà trascrizioni dei suoi discorsi e delle sue conferenze. Fu un oratore coinvolgente, che ricorreva a espedienti retorici a effetto volti a provocare un mutamento nell'ascoltatore; fu un abile scrittore di missive e scrisse anche opere poetiche in lingua bengalese. La sua idea che la religione è intimamente legata all'identità nazionale fu abbracciata dal movimento nazionalista indiano. Egli considerava l'unità religiosa come condizione assolutamente necessaria per il futuro dell'India e per l'unità nazionale; sosteneva la necessità di riconoscere un'unica forma di induismo per tutta la lunghezza e la larghezza del subcontinente e credeva che la visione filosofico-religiosa dell'advaita vedanta fosse la più indicata per una religione panindiana perché formulava in modo superiore i principi fondamentali di ogni altra religione.

“Il segreto di un autentico carattere hindū sta nella subordinazione della sua conoscenza delle scienze e del sapere europeo, della sua ricchezza, della sua posizione e reputazione a quell'unico tema principale che è innato in ogni bambino hindū: la spiritualità e la purezza della razza”.

(VCW III, 152)

Nell'ambito del dialogo tra le religioni è ricordato perché partecipò al World Parliament of Religions tenutosi a Chicago nel 1893 dove tenne un acclamato discorso sulla tolleranza religiosa nella sessione inaugurale. Nei suoi interventi presentò al Parlamento e nelle successive conferenze tenute in America, India ed Europa, una rilettura in chiave moderna della antica concezione filosofica e teologica dell'advaita vedanta, che egli prospettò all'Occidente quale paradigma per una religione universale. Egli dipinse l'induismo come la religione del pluralismo e della tolleranza per eccellenza perché esso riconosce che anche le altre religioni offrono vie di salvezza. L'idea fondamentale che egli trasse da Ramakrishna  è che le diverse religioni non si contraddicono a vicenda ma sono fasi diverse di una religione eterna. Il loro rapporto è di unità nella diversità, dove l'unità è divina, infinita, immutabile e assoluta mentre la  diversità concerne ciò che è finito, mutevole e relativo. Precisamente secondo Vivekananda

“ogni religione non è che uno stadio diverso del viaggio, la cui meta è la perfetta concezione dei Veda”.

(CVW I, 331)

World Parliament of Religions - Wikimedia
La sua posizione si può riassumere con la seguente affermazione: “che noi lo chiamiamo vedantismo o qualsiasi -ismo, la verità è che l'advaitismo (advaita vedanta) è l'ultima parola della religione e del pensiero e l'unica posizione dalla quale si possono considerare tutte le religioni e sette con amore. Io credo che questa sia la religione della futura umanità illuminata”.

(CVW VI, 415)

Il Vedanta pratico o la pratica del Vedanta

Nel 1896 Vivekananda tenne a Londra una serie di conferenze intitolata “Practical Vedanta” in cui espresse con parole divenute famose la necessità dell'impegno umanitario come parte integrante ed essenziale della religione:

“Io non credo in un Dio o in una religione che non possa asciugare le lacrime della vedova o mettere un pezzo di pane in bocca a un orfano. Per quanto sublime possa essere la teoria, per quanto ben argomentata possa essere la filosofia, io non la chiamo religione fintantoche essa è confinata ai libri e ai dogmi”.

(VCW V, 39)

Per Vivekananda “gli hindū hanno ricevuto la loro religione per rivelazione, i Veda. Essi ritengono che i Veda non abbiano principio né fine” (VCW I, 6) e che “essendo la prima e più completa raccolta di verità spirituali e la più esente da distorsioni, merita di occupare il posto più alto  tra tutte le scritture, di esigere il rispetto di tutte le nazioni della terra e di fornire la connessione di tutte le loro rispettive scritture”. (VCW VI, 182).

In realtà non si tratta di una scrittura ma di leggi spirituali eterne rivelate ai veggenti del passato e messe per iscritto in tempi recenti.

Il Vedanta (la fine del Veda) si riferisce a testi, le Upanisad, che completano i Veda. Il termine viene poi utilizzato per indicare tre scuole filosofiche brahmaniche che si fondano su un triplice canone comprendente le Upanishad, i Brahmasutra e la Bhagavadgita. Queste tre scuole di Vedanta sono: Dvaita (dualismo), Vishishtadvaita (non dualismo qualificato) e Advaita (non dualismo).

Vivekananda considera tutte e tre le scuole legittime ma le colloca in una progressione che rispecchia le fasi della sua teoria di evoluzione della religione. Secondo lui gli antichi pensatori “presero per così dire, questa vecchia idea di Dio, il Governatore dell'universo, che è esterno all'universo, e lo misero dapprima all'interno dell'universo. Egli non è un Dio all'esterno ma Egli è all'interno; e da lì lo misero nei loro cuori. Ed ecco egli è nel cuore dell'uomo. L'Anima delle anime, la Realtà in noi.” (VCW I, 355). Esiste un'unica e sola verità: il Brahman che Vivekananda chiama anche Dio o Signore. Immutabile ed eterno, esso solo esiste: esso è essere, coscienza e beatitudine. La liberazione verso cui tutte le religioni tendono si basa sull'intuizione che l'essere umano possieda un'anima (Vivekananda usa i termini ātman, anima e sé come sinonimi) e che essa sia una con il Brahman. L'identificazione di questo sé spirituale con il corpo è l'errore che origina l'illusione che il mondo con la sua molteplicità sia la realtà.

Vivekananda dice:

“L'ātman, il sé è identico al Brahman, il Signore. Il sé è tutto ciò che esiste. Esso è l'unica realtà. (…) Esiste un solo sé e non molti. Quell'unico sé splende in varie forme. L'uomo è fratello dell'uomo perché tutti gli uomini sono uno. Un uomo non è solo mio fratello, dicono i Veda, egli è me. Se faccio del male a una qualsiasi parte dell'universo, faccio del male a me stesso”.

(VCW VIII, 100)

Su questo concetto Vivekananda basò la pratica del Vedanta sotto forma di programmi educativi per i poveri e i bisognosi, consapevole di introdurre qualcosa di nuovo nell'induismo. Egli, infatti, credeva che tale Vedanta pratico beneficiasse dall'enfasi sulla compassione propria dei buddhisti, dal vigore dei cristiani e dall'idea di fratellanza dei musulmani. (VCW VIII, 79-80).

I monaci dell'ordine fondato da Vivekananda non sono dunque soltanto dei contemplativi che si ritirano dal mondo per ricercare la loro individuale salvezza ma sono anche degli operatori sociali impegnati in campagne volte a migliorare la condizione di coloro che sono economicamente o socialmente svantaggiati.

Il Ramakrishna Math e la Ramakrishna Mission

Grazie al supporto ricevuto dai suoi seguaci e simpatizzatori, indiani e occidentali, egli fondò in India due istituzioni dedicate al suo maestro, il mistico bengalese Ramakrishna Paramahamsa. Il Ramakrishna Math, che comprendeva l'ordine di monaci da lui fondato, e la Ramakrishna Mission, un'organizzazione non settaria dedicata alla diffusione degli insegnamenti di Ramakrishna e di Vivekananda e al servizio dell'umanità. Oggi le due organizzazioni gemelle hanno 293 centri in tutto il mondo. Di questi 224 sono in India e 69 in 24 paesi (Bangladesh, USA, Brasile, Canada, Russia, Sud Africa, Argentina, Australia, Fiji, Francia, Germania, Irlanda, Giappone, Malesia, Mauritius, Nepal, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Sri Lanka, Svizzera, UK e Zambia).

Scienza vedica e Yoga

Vivekananda fu un pioniere della moderna religiosità esperienziale che guardava allo scientismo e a partire dal suo discorso al Parlamento delle religioni cominciò a costruire l'induismo come una religione in armonia con le moderne scienze. In India contribuì alla nascita della “scienza vedica” che poi diventò un cavallo di battaglia dei nazionalisti.

Esistono certi fatti religiosi che, come accade nella scienza esterna, devono essere percepiti e su questi fatti sarà costruita la religione. Certamente la pretesa estrema che si debba credere in ogni dogma di una religione è degradante per la mente umana. L'uomo che vi chiede di credere a tutto si degrada e se credete, degrada anche voi. I saggi del mondo hanno solo il diritto di dirci che essi hanno analizzato la propria mente e hanno scoperto questi fatti e se noi facciamo lo stesso anche noi crederemo e non prima. In questo sta la religione.

(VCW II, 163)

Il fedele hindū non vuole basarsi su parole e teorie. Se vi sono esistenze al di là di quella ordinaria sensibile, egli vuole trovarsi faccia a faccia con esse. Se vi è un'anima in lui che non è materia, se vi è un'Anima universale onnicompassionevole, andrà a Lui direttamente. Egli deve vederLo e ciò soltanto può distruggere tutti i dubbi. (…) La religione hindū non consiste in lotte e sforzi per credere in una data dottrina o dogma ma nella realizzazione: non consiste in credere ma in essere e divenire.

(VCW I,13)

Al fine di guidare all'esperienza esistenziale che è la chiave di volta della religione, ovvero l'atto di cognizione intuitiva che l'anima e Dio sono un'unica realtà, Vivekananda considera utili le pratiche tradizionali raggruppate sotto il termine yoga. Tali tecniche permettono al praticante (yogin) di conoscere e padroneggiare le forze sottili che esistono oltre il mondo materiale e sensoriale nel quale si muovono le scienze occidentali. Così la scienza vedica può penetrare livelli del cosmo e dell'anima inattingibili per la fisica e la psicologia.

Per il Rājayogi (yogin reale) il mondo esterno non è che la forma grossolana del mondo interno o sottile.(...) L'uomo che ha scoperto e imparato come manipolare le forze interne avrà sotto il suo controllo l'intera natura. Lo Yogin si propone nientemeno che padroneggiare l'universo intero, controllare la natura nella sua totalità.

(VCW I, 132)

L'uniformità è la ferrea legge della natura; ciò che è accaduto una volta può sempre accadere. Pertanto, gli insegnanti della scienza dello yoga dichiarano che la religione non è solo basata sulle esperienze dei tempi antichi ma che nessun uomo può dirsi religioso fino a che non ha le medesime percezioni. Lo Yoga è la scienza che ci insegna come ottenere queste percezioni.

(VCW I, 127)

Vivekananda sosteneva che l'esperienza religiosa non è confinata ai mistici o ai fondatori delle religioni ma come ogni conoscenza esperienziale in qualsiasi campo, essa si conforma al concetto di riproducibilità proprio delle scienze naturali. Lo yoga mostra come l'esperienza sia riproducibile nel campo della religione. In particolare, la forma di yoga cosiddetto 'reale' (rājayoga) insegna a coltivare la concentrazione fino a raggiungere lo stato di samadhi, stato di coscienza in cui la dualità scompare e il brahman si manifesta, lo stato spirituale più alto per gli esseri umani. La risposta di Vivekananda è prima di tutto il criterio dell'integrità morale della persona che si attribuisce un'esperienza religiosa autorevole. Solo una persona genuinamente disinteressata può avere quel tipo di esperienza e in quanto tale, non sfrutterà le proprie conoscenze per fama o denari. Molto probabilmente Vivekananda aveva in mente Ramakrishna, infatti, altrove, riferendosi a lui, dice che le verità contenute nei Veda si manifestano spontaneamente nei veggenti per impulso della divina provvidenza senza alcun bisogno di una preesistente conoscenza dei testi sacri. Ciò che uno yogi dice, deve essere compatibile con le scoperte di altri campi della conoscenza e più antiche visioni e deve essere presentato in modo da essere verificabile da chiunque. Secondo Vivekananda ogni persona dovrebbe diventare un veggente. Si tratta di un ideale al quale tendere, senza seguire ciecamente dogmi e precetti ma attraverso l'esperienza e l'uso della ragione, un processo che può esplicarsi in molte vite (secondo la teoria della rinascita). L'interpretazione che Vivekananda dà allo yoga aprì la strada alle forme moderne di yoga che hanno contribuito alla creazione di un movimento globale dello yoga e allo stesso tempo offre oggi la giustificazione del movimento “Take back yoga” (riprendiamoci lo yoga) che vuole nazionalizzare e hinduizzare lo yoga contemporaneo.

Brahmo Samaj

La Brahmo Samaj [la società del Brahman, termine filosofico che denota la realtà suprema non identificata con una divinità in particolare] fu un movimento teista fondato a Calcutta nel 1828 da Ram Mohan Roy (1772-1833) riformatore bengalese, talvolta chiamato il padre dell'India moderna. Essa può essere interpretata come un tentativo di rafforzare la dignità ferita del popolo sottomesso al dominio coloniale, così contribuendo alla nascita del nazionalismo indiano.

La Brahmo Samaj non accettava l'autorità dei Veda (testi fondanti dell'induismo) né le fondamentali credenze hindū quali la teoria delle rinascite (samsara) basata sull'azione morale (karma). Ricusava i riti hindū in favore di alcune pratiche di culto cristiane e denunciava il politeismo, il culto delle immagini e il sistema delle caste. Nel 1866 da essa nacque una nuova branca detta Brahmo Samaj of India che fu determinante nell'influenzare i legislatori e l'opinione pubblica verso riforme sociali fondamentali quali l'abolizione di costumi tradizionali quali quello che imponeva alle vedove di seguire il marito sulla pira funebre, i matrimoni in età infantile e l'affermazione dei diritti delle donne (diritto all'istruzione, diritto delle vedove a risposarsi). Il movimento si esaurì nel ventesimo secolo e le riforme da esso proposte furono accettate dalla società indiana.

Keshub Chandra Sen (1838–1884) fondatore della Nava Vidhāna Brāhmo Samāj ebbe un ruolo importante per il giovane Naren. Molto attivo nel campo delle riforme sociali, nel 1875 conobbe il grande mistico Ramakrishna Paramahamsa, che al tempo viveva nel tempio di Kali a Dakshineswar, dove lavorava come officiante. Ispirato da Ramakrishna, Sen si dedicò alla pratica religiosa e allo studio comparato delle religioni ed elaborò una teoria per cui ogni religione è basata sull'esperienza intuitiva del divino presente in ogni essere umano. Per sperimentare questa concezione fondò nel 1876 una comunità di laici chiamata Sadhan Kanan che sarebbe diventata il prototipo dei moderni ashram.

Ramakrishna Paramahamsa (1836-1886)

Ramakrishna Paramahamsa (1836-1886) celebre mistico indiano, trascorse quasi tutta la sua vita adulta meditando e insegnando in un tempio sulle rive del Gange. Mentre era in vita fu noto a un numero limitato di persone ma all'inizio del secolo i suoi discepoli diffusero enormemente il suo messaggio facendone uno dei grandi protagonisti del rinnovamento spirituale dell'induismo. Nato in una famiglia di brahmani poveri non ebbe un’educazione formale. Non conosceva né la lingua dei colonizzatori, l'inglese, né la lingua dei testi sacri hindū, il sanscrito, ma solo la sua lingua madre, il bengalese. Alla morte del padre, nel 1843, il fratello maggiore, Ramkumar, divenne capofamiglia e nel 1852 i due furono spinti dalla necessità a lasciare il villaggio natio per cercare lavoro a Calcutta. Qualche anno dopo, divennero officianti al tempio di Kali di Dakshinesvar, alla periferia di Calcutta. Nel 1856, Ramkumar morì e Ramakrishna, rimasto solo, pregò la dea Kali, che egli adorava come la suprema manifestazione di Dio, di apparirgli in visione. Non riuscendo nel suo scopo, precipitò nella disperazione e, secondo i resoconti tradizionali, era sul punto di togliersi la vita quando fu sopraffatto dalla visione di un oceano di luce beatifica che egli attribuì a Kali. Ramakrishna descrisse Kali come “un oceano di spirito infinito.” Dopo la prima visione, Ramakrishna intraprese una serie di pratiche spirituali volte a raggiungere l'esperienza suprema, calandosi nelle varie tradizioni mistiche sia indigene -il visnuismo bengalese, lo shaktismo, il tantrismo, l'advaita vedanta- sia non hindū, come il sufismo e il cattolicesimo. Egli asserì che l'esperienza al culmine di ciascuno di questi percorsi spirituali era stata la medesima: l'esperienza del Brahman, ovvero il potere supremo, la realtà ultima dell'universo secondo la tradizione hindū del vedānta nondualista. Ramakrishna divenne famoso per le sue concise parabole sul fatto che differenti tradizioni religiose conducono alla medesima realtà ultima

È sufficiente avere fede in un aspetto di Dio. Hai fede in Dio senza forma. Ottimo. Ma non devi mai pensare che solo la tua fede è vera e che ogni altra è falsa. Sappi per certo che Dio senza forma è reale e che Dio con una forma è altrettanto reale. Dopodiché aderisci pure a qualsiasi fede ti piaccia.

( Isherwood, C., Ramakrishna and His Disciple 1965, p. 263)

Non va bene pensare che solo la propria religione sia vera e le altre false. Dio è uno soltanto e non due. Persone diverse lo chiamano con nomi diversi: alcuni Allah, altri Dio e altri ancora Krishna, Shiva e Brahman. È come l'acqua di un lago. Alcuni la bevono in un certo punto e la chiamano jal (bengalese) altri bevono in un altro punto e la chiamano pani (urdu) e altri ancora bevono in un terzo punto e la chiamano acqua. Gli hindu la chiamano jal, i cristiani acqua e i musulmani pani ma essa è un'unica e medesima cosa.

(Mahendranath Gupta, The Gospel of Sri Ramakrishna translated from Bengali by Swami Nikhilananda)

Sarada Devi

Il suo insegnamento poneva l'accento sul bisogno di coltivare l'amore e il desiderio per Dio e per l'esperienza del divino. Egli propugnava l'idea che il servizio all'umanità dovesse essere considerato servizio alla divinità. La carriera spirituale di Ramakrishna ebbe l'appoggio incondizionato della moglie Sharada Devi con la quale i genitori lo avevano sposato da bambino. Il loro matrimonio non fu mai consumato poiché Ramakrishna sosteneva la necessità del celibato e in un'occasione famosa, nel 1872, egli la venerò ritualmente come Madre dell'Universo. Sarada Devi fu considerata santa e rispettata come madre dai devoti e la sua compagnia fu ricercata dalle discepole di Ramakrishna, indiane e occidentali. Gli ultimi anni di vita di Ramakrishna furono segnati da un cancro alla gola. Dopo la sua morte avvenuta nel 1886, i suoi insegnamenti furono diffusi attraverso testi e organizzazioni. Mahendranath Gupta compilò gli appunti presi durante gli incontri di Ramakrishna con i discepoli in un testo in cinque volumi, divenuto un classico bengalese, Sri Sri Ramakrishna Kathamrita (1902–32; L'ambrosia, che è l'insegnamento di Sri Sri Ramakrishna), tradotto in inglese come The Gospel of Ramakrishna. Nel 1929 il celebre intellettuale e pacifista francese Romain Rolland, pubblicò un volume su Ramakrishna nella sua collana dedicata alle vite degli uomini illustri, nella quale aveva già pubblicato monografie dedicate a Tolstoj e a Gandhi. Ne “La vita di Ramakrishna”, Rolland ne paragona l'esperienza mistica a quella di Santa Teresa d'Avila.

“Anch'ella si sentiva inglobata nell'infinito finché gli scrupoli della sua fede cristiana e le severe ammonizioni dei suoi direttori e guardiani la portarono contro le sue stesse convinzioni a confinare Dio nella forma del figlio dell'uomo.” “Per Ramakrishna la carità non significava nulla di meno che l'amore di Dio in tutti gli uomini; poiché Dio è incarnato nell'uomo.”

Approfondimenti

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Vita

Narendranath nacque in una famiglia borghese di Calcutta [oggi Kolkata] il 12 gennaio 1863. Il padre, Vishvanath Datta, uomo colto e razionalista, lavorava come avvocato presso la High Court di Calcutta, la madre, Bhuvaneshvari Devi, era molto religiosa. Naren (come lo chiamavano amici e parenti) ebbe sette fratelli e un'infanzia felice. Le biografie lo descrivono come un bambino vivace e dotato di una memoria straordinaria e come un giovane sportivo che si allenava nella lotta libera e nella boxe. Ebbe un'educazione di stampo occidentale e la sua formazione filosofica comprendeva l'idealismo tedesco, Schopenhauer, Comte e Stuart Mill. Egli si interessò in modo particolare alla filosofia di Herbert Spencer con il quale intrattenne una corrispondenza epistolare. Oltre a tradurre in bengalese il saggio di Spencer “Education”, continuò a interessarsi ad alcuni temi della sua filosofia, in particolare il rapporto tra la scienza moderna e la religione. Il giovane Naren durante gli studi superiori aderì a due gruppi dedicati alla riforma sociale che mettevano in discussione e reinterpretavano le tradizioni hindū in un contesto più ampio, traendo spunto dalle critiche degli occidentali e traendo ispirazioni dall'illuminismo, dalla scienza occidentale e dal cristianesimo. Noti come Sadharan Brahmo Samaj e Nava Vidhana Brahmo Samaj, questi gruppi erano derivati dall'associazione madre detta Brahmo Samaj che ebbe un ruolo fondamentale nella cultura dell'epoca.

Naren conobbe Ramakrishna nel 1881 e cominciò a frequentarlo insieme a un piccolo gruppo di discepoli, la maggior parte di loro con istruzione occidentale e provenienti da famiglie rispettabili. Fu in quel periodo che la stampa di Calcutta descrisse Ramakrishna come “the Hindu Saint” o “the Paramahamsa” (titolo onorifico prestigioso dei grandi asceti).

Nel 1884 si iscrisse alla facoltà di legge e aderì ai Free Masons, come molti giovani borghesi che speravano in una brillante carriera ma, la morte improvvisa del padre, che lasciò la famiglia in ristrettezze, cambiò radicalmente la sua vita. L'anno seguente la morte di Keshub Chandra Sen e la malattia di Ramakrishna, al quale fu diagnosticato un tumore alla gola, acuirono la sua crisi esistenziale. Naren, a capo di un piccolo gruppo di giovani discepoli, si dedicò al servizio e alla cura del maestro e dopo la morte di Ramakrisha, si trasferì con i condiscepoli in un vecchio edificio di Baranagar. Nel 1887 prese insieme a loro l'iniziazione formale al samnyasa e dopo un periodo dedicato allo studio della letteratura religiosa in sanscrito e alle pratiche spirituali, partì per un pellegrinaggio, attraversando l'India a piedi e in treno (1890-1892). Ciò che vide nel suo peregrinare lo impressionò molto: le condizioni miserevoli della popolazione e lo stato in cui versava la religione gli parvero richiedere un cambiamento.

Ci sono così tanti samnyasin (asceti) che girano per l'India insegnando alla gente la metafisica ma è pura pazzia. Gurudeva (Ramakrishna) non diceva forse che “Uno stomaco vuoto non va bene per la religione.”? Che la povera gente sia abbrutita è dovuto all'ignoranza. (…) Immaginate dei samnyasin disinteressati dediti a fare del bene agli altri che vanno di villaggio in villaggio spargendo la conoscenza e cercando in vari modi di migliorare le condizioni di vita di tutti giù fino al chandala (fuori casta) servendosi dell'insegnamento orale e ricorrendo a mappe, macchine fotografiche, mappamondi e altri strumenti simili: non potrebbe ciò fare bene con il tempo? (…) Noi come nazione abbiamo perduto la nostra individualità e questa è la causa di tutti i mali in India. Dobbiamo restituire alla nazione la sua individualità perduta e sollevare le masse.

(VCW VI pp 254)

Egli decise dunque di fondare un nuovo ordine monastico che fondesse il neoinduismo e il servizio all'umanità ma non riuscì a raccogliere in India i fondi sufficienti a finanziare il suo progetto.  Allora, dopo una famosa meditazione su un grande scoglio alla punta meridionale dell'India (dove oggi sorge un memoriale) e su suggerimento di un gruppo di discepoli di Madras e del Raja di Khetri che si offrirono di finanziare il suo viaggio, decise di recarsi negli Stati Uniti per raccogliere fondi. Fu allora che cambiò il suo nome monastico in Vivekananda. Più avanti negli anni avrebbe detto “Io do loro la spiritualità e loro mi danno il denaro”.

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World's Parliament of Religions

(Il Parlamento mondiale delle religioni)

Nel 1893 Swami Vivekananda prese parte al World's Parliament of Religions (Parlamento mondiale delle religioni), un progetto di Charles Carroll Bonney (1831-1903), giurista, attivista dei diritti civili e pedagogista di Chicago, influenzato dai principi della New Church che a sua volta si ispirava alle idee di Swedenborg. L'occasione fu la World's Columbian Exposition organizzata, a detta di Bonney, per esibire “i trionfi materiali, i progressi dell'industria e le vittorie meccaniche dell'uomo” mentre egli intendeva mostrare qualcosa di più nobile in armonia con lo spirito progressivo dell'epoca: un congresso senza precedenti con delegati in rappresentanza di tutti i popoli e le nazioni e le lingue del mondo. Tale congresso, nelle parole di Bonney,  avrebbe annunciato la fine della persecuzione in tutto il mondo e avrebbe proclamato l'avvento del regno della libertà civile e religiosa; avrebbe esaminato il terreno comune e gli obiettivi comuni delle religioni e il meraviglioso progresso religioso del diciannovesimo secolo. Quando il Parlamento mondiale delle Religioni fu effettivamente organizzato, alla cerimonia di apertura dei lavori, l'11 settembre 1893, nella Hall of Columbus del Permanent Memorial Art Palace (oggi Art institute di Chicago) si radunarono più di quattromila persone e per i seguenti 17 giorni, 400 delegati, uomini e donne, in rappresentanza di 41 tradizioni religiose, si confrontarono tra loro. Questo fu considerato il più importante raduno religioso mai organizzato in America o Europa e il primo esperimento di dialogo interreligioso. La presenza di rappresentanti delle religioni orientali, quali induismo, jainismo, islam, buddhismo, stimolò il genuino interesse a conoscere le religioni diverse dal cristianesimo e gli eventuali punti in comune con esso – interesse che portò allo studio comparato delle religioni come disciplina– anche se va ricordato che 152 interventi su 194 furono presentati da rappresentanti anglofoni di chiese cristiane.

Discorso di Swami Vivekananda al World’s Parliament of Religions l’11 settembre 1893

Sorelle e fratelli d'America,

Il mio cuore si riempie di gioia ineffabile dinnanzi al cordiale benvenuto che ci avete riservato. Io vi ringrazio a nome del più antico ordine di monaci al mondo, io vi ringrazio a nome della madre delle religioni e io vi ringrazio a nome di milioni e milioni di Hindu di ogni classe e setta. Il mio ringraziamento va anche ad alcuni tra gli oratori che su questo podio, riferendosi ai delegati dell'Oriente, vi hanno detto che questi uomini giunti da nazioni lontane possono a buon diritto rivendicare l'onore di portare l'idea di tolleranza in altre terre. Sono fiero di appartenere a una religione che ha insegnato al mondo sia la tolleranza sia l'accettazione universale. Noi non solo crediamo nella tolleranza universale ma accettiamo tutte le religioni come vere. Sono fiero di appartenere a una nazione che ha dato asilo ai perseguitati e ai rifugiati di tutte le nazioni della terra. Sono fiero di potervi dire che abbiamo accolto tra le nostre braccia i più puri superstiti degli Israeliti che raggiunsero l'India meridionale e presero rifugio presso di noi proprio nell'anno in cui il loro sacro tempio fu distrutto dalla tirannia romana. Sono fiero di appartenere alla religione che ha protetto e che ancora custodisce ciò che resta della grande nazione zoroastriana." Come ogni torrente, sgorgato da punti diversi, fonde le sue acque in mare, così, o Signore, le diverse vie che gli uomini scelgono a seconda della loro natura, per quanto diverse possano apparire, sinuose o diritte, menano tutte a Voi."

Il presente congresso, che è una delle più auguste assemblee mai tenute, è di per sé la rivendicazione e la dichiarazione al mondo della meravigliosa dottrina predicata nella Gita: “Chiunque viene a Me, sotto qualunque forma egli venga, Io lo accolgo. Tutti gli uomini esprimono i loro sforzi in sentieri che, alla fine, portano a Me.” Il settarismo, il bigottismo, e il suo orribile discendente, il fanatismo, hanno per lungo tempo preso possesso di questa bella terra. Hanno riempito la terra di violenza, l'hanno inzuppata più e più volte di sangue umano, distruggendo civiltà e gettando intere nazioni nella disperazione. Se non fosse stato per questi orribili demoni, la società umana sarebbe molto più avanzata di quanto lo sia adesso. Ma la loro ora è suonata e io nutro la fervente speranza che la campana che ha rintoccato questa mattina in onore di questo convegno abbia suonato i rintocchi funebri per ogni fanatismo, ogni persecuzione per spada o per penna e di ogni sentimento incaritatevole tra persone che si stanno dirigendo verso la stessa meta.

I suoi interventi come oratore al Parlamento delle religioni furono molto apprezzati e i giornali lo descrissero come “oratore per diritto divino” e “la più grande figura del parlamento delle religioni”. La sua popolarità lo convinse a prolungare il soggiorno per diffondere l'induismo in Nord America. Nel 1894 fondò a New York la Vedanta Society, la prima organizzazione hindū in occidente che accettava non hindū e nel 1895 guidò il primo ritiro di yoga. Iniziò al samnyasa due americani, un uomo e una donna. Nel 1896 si recò in Europa dove tenne conferenze sulla filosofia indiana e sullo yoga e incontrò i famosi indologi Max Muller e Paul Deussen. Nel 1897 tornò in India per organizzare da una parte la Ramakrishna Mission, con lo scopo di divulgare gli insegnamenti di Ramakrishna e di fondare ospedali, orfanotrofi e scuole, e dall'altra la comunità monastica che chiamò Ramakrishna Math. Nel 1899 fece un ultimo viaggio negli Stati Uniti e in Inghilterra e poi rientrò in India dove morì nel 1902, a soli 39 anni, per le complicazioni del diabete.

Discepoli e amici di Swami Vivekananda in Occidente

Tra le persone che mostrarono interesse, simpatia e amicizia per Swami Vivekananda durante i suoi soggiorni negli Stati Uniti si distinguono Francis H. Leggett (1840-1909) e la moglie Betty Leggett (1852-1931). La coppia americana più di ogni altro sostenne finanziariamente l'operato di Swami Vivekananda in America e in India offrendogli amicizia, vivaci conversazioni e ospitalità in un ambiente rispettoso delle sue esigenze spirituali. Frank Leggett era un facoltoso uomo d'affari di New York. Betty e sua sorella Josephine MacLeod nel 1895 avevano seguito con entusiasmo le conferenze di Swami Vivekananda a New York e lo invitarono a cena, dando inizio alla loro amicizia. Egli trascorse diversi periodi nella loro tenuta di campagna dove era solito meditare sotto gli alberi fino a raggiungere lo stato di samadhi. Nel 1898 fu registrata la Vedanta Society di New York e Frank ne divenne il Presidente (fino a quando diede le dimissioni  per frizioni con Swami Abhedananda). Egli si occupava di raccogliere fondi e di gestire le finanze di Swami Vivekananda in America e insieme a Mrs. Bull, si dedicò a pubblicare le conferenze di Swami Vivekananda. L'ultima visita di Vivekananda ai Leggett fu nel 1899 ma nel 1900 fu di nuovo loro ospite a Parigi e in quell'occasione incontrò diversi intellettuali francesi. Betty Leggett fu Presidente della Ramakrishna Guild of Help in America. Donò somme ingenti per la costruzione del mausoleo di Belur Math e del Vivekananda Mandir nel Sevashrama di Varanasi. Donò anche mille dollari alla scuola di Sister Nivedita. Visitò l'India nel 1912 con la figlia e il genero e incontrò Sharada Devi e i monaci di Swami Vivekananda a Belur Math. Il figlio visitò l'India nel 1908 con la moglie.

Foto 1. Sister Nivedita (1867-1911). Foto 2. Sarada Devi e Sister Nivedita

Margaret Elizabeth Noble nacque a Dungannon in Irlanda e morì a Darjeeling in Bengala Occidentale a soli 43 anni. Insegnante ed educatrice, lavorò nel campo dell'educazione e del volontariato caritatevole; fu scrittrice prolifica, promotrice dell'arte e dell'artigianato dell'India e appassionata nazionalista indiana. Viene soprattutto ricordata per il suo attivismo, per il suo impegno concreto per l'educazione delle donne indiane e per le sue campagne di raccolta fondi per finanziare la ricerca scientifica in India. I suoi lunghi viaggi le offrivano l'opportunità di scrivere e lasciò una ricca corrispondenza con gli amici e un gran numero di libri. Cominciò a 17 anni l'attività didattica in orfanatrofi e città minerarie in Gran Bretagna e fu influenzata dalle teorie di Froebel e Pestalozzi i cui metodi applicò nel suo lavoro a Wimbledon e poi in India. Attiva anche in campo letterario, partecipò alla Wimbledon Literary Society e al Sesame Club di Londra dove tenne conferenze, scrisse articoli e incontrò intellettuali come Bernard Shaw e Thomas Huxley. Nel 1895 Swami Vivekananda fu invitato a parlare da Lady Margesson, membro del Club. Margaret era tra gli invitati insieme a Ebenezer Cooke, il riformatore dell'educazione artistica che insegnava nella sua scuola e fu colpita da ciò che udì sulla condizione delle bambine e delle donne indiane. Divenne discepola di Swami Vivekananda e il 21 gennaio 1898 arrivò in India su suo invito. Colpito dalle sue straordinarie qualità—amore per la verità, forza di carattere, perseveranza e, soprattutto, spirito filantropico- Vivekananda la esortò a dedicarsi all'educazione delle donne indiane e la iniziò al brahmacharya (voto di castità) con il nome di Nivedita (dedicata). Da maggio a ottobre 1898 viaggiò con lei nell'India settentrionale e himalayana e la istruì personalmente su storia, cultura, filosofia, letteratura, arte, costumi e tradizioni spirituali dell'India. Il 13 novembre 1898 Nivedita fondò la Ramakrishna Mission School for Girls nella sua casa di Bosepara Lane, alla presenza di Sharada Devi, Swami Vivekananda e Swami Brahmananda, Saradananda e altri. La scuola cominciò come asilo per bambine e presto crebbe. Nivedita insegnava alle bambine storia, geografia, scienze naturali, inglese, cucito e artigianato, e teneva anche corsi per donne adulte; manteneva la scuola con le donazioni raccolte nei suoi viaggi e a questo scopo scriveva articoli e libri e teneva conferenze. Alla sua morte la scuola fu rilevata dalla Ramakrishna Mission e rinominata “The Ramakrishna Mission Sister Nivedita Girls’ School”. Essa è considerata un precursore dello Sri Sarada Math di Dakshineswar, istituzione per monache hindu impegnate principalmente nel fornire un'educazione moderna alle donne indiane. Dopo la morte di Vivekananda che vegliò personalmente fino all'avvenuta cremazione, prese le distanze dall'organizzazione per potersi dedicare alla vita politica ma mantenne rapporti personali con i monaci e soprattutto con Sharada Devi. Sebbene all'inizio non fosse favorevole al nazionalismo indiano, anzi si opponesse ad esso, Sister Nivedita dal 1902 al 1906 divenne una ardente nazionalista. Criticò aspramente l'amministrazione britannica per la spartizione del Bengala nel 1905 e diventò molto attiva nei movimenti Indian Freedom e Swadeshi, intrattenendo rapporti con le maggiori personalità coinvolte in essi e proponendo all'Indian National Congress un prototipo di bandiera. Dopo la spartizione del Bengala, Nivedita si concentrò sull'identità culturale dell'India, scrisse di arte e artigianato e si fece promotrice di un movimento artistico nazionale indiano, incoraggiando gli studenti della Calcutta Art School a ispirarsi all'arte classica, in particolare ai dipinti di Ajanta. Nivedita lavorò senza sosta per aiutare i poveri di Calcutta e del Bengala durante le epidemie di peste, le carestie e le alluvioni, ammalandosi lei stessa. L'importanza del suo lavoro è riconosciuta da una targa posta a Darjeeling che recita “Qui giace Sister Nivedita che diede tutta sé stessa all'India”. A lei sono intitolate scuole, università, ponti, parchi pubblici; su di lei sono state scritte diverse biografie e un film e le poste indiane le hanno dedicato un francobollo. La sua produzione letteraria è ingente: più di 800 lettere, di cui la metà a Josephine McLeod e una serie di saggi sulla cultura e sulla religione indiana, memorie sul rapporto con Vivekananda, libri sul nazionalismo e sull'arte indiana.

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