07.05.2024
Eugenio Montale
Vita e opere
Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896 da una famiglia commerciante. A causa della sua salute cagionevole non frequenta molto assiduamente le scuole superiori ed è costretto a studiare da autodidatta. Inizia a studiare musica lirica, ma abbandona tutto allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale. Al termine del conflitto vorrebbe riprendere lo studio della musica lirica, ma il suo maestro muore.
Nel '25 firma Il Manifesto degli intellettuali antifascisti, e questo lo ostacola lavorativamente, per cui si trova in difficoltà economiche. Due anni più tardi si trasferisce a Firenze dove collabora con case editrici e riviste. Le sue prime poesie sono ambientate in Liguria, a Monterosso, dove trascorre le vacanze estive. La sua prima raccolta è Ossi di seppia del 1925.
Nel 1927 viene assunto come redattore presso “le Bemporad” e frequenta il Caffè delle Giubbe Rosse dove incontra intellettuali antifascisti con i quali stringerà amicizia. A Firenze, dove conosce la sua futura moglie Drusilla Tanzi, viene in contatto con gli ermetici [1].
Nel '29 diventa direttore del gabinetto scientifico letterario Vieusseux e si dedica allo studio di Dante. Viene licenziato nel 1938 perché non aderisce al partito fascista. A Firenze si innamora di Irma Brandeis, una dantista, ebraica americana, soprannominata Clizia, ma la relazione si interrompe nel 1938 a causa delle leggi razziali che costringono la donna ad abbandonare l'Italia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, ospita in casa gli amici ebrei Umberto Saba e Carlo Levi. Nel '39 pubblica la raccolta “Le occasioni”, il cui tema principale è l'occasione. In molti testi della raccolta è presente una figura femminile che rappresenta Clizia, come un angelo di salvezza, il cui compito è recuperare momenti di vita autentica che all'apparenza sembrano insignificanti, ma che in realtà non lo sono.
Nel '39 va a vivere con Drusilla, soprannominata Mosca. Dopo la Seconda guerra mondiale si trasferisce a Milano e diventa anche redattore, critico musicale e letterario, e traduttore di poeti inglesi. Nel '48 collabora con il Corriere della Sera. Nel '56 pubblica la raccolta La bufera e l'altro, il titolo rappresenta, non solo gli orrori della guerra, ma anche il disgusto per la degenerazione della nuova civiltà omologata al consumismo.
Inizia per Montale un decennio di silenzio poetico che si interrompe nel '63 con la morte della moglie.
Nel 1967 diventa senatore a vita e nel 1971 pubblica la raccolta Satura dove vengono ripresi i componimenti che aveva dedicato alla moglie. Nel '73 pubblica Diario del '71 e del '72 con uno stile poetico simile al linguaggio parlato.
Nel 1975 riceve il Nobel per la letteratura. L'anno successivo, pubblica una raccolta di saggi di critica letteraria nell'Antologia Sulla poesia. Le sue ultime raccolte sono il Quaderno di quattro anni (1977) e Altri versi (1981). Muore a Milano nel 1981.
NOTE
[1] L'ermetismo si sviluppa dopo la Prima guerra mondiale. In Italia prende piede nell'epoca fascista. I poeti ermetici vivono con intensità la solitudine e il male di vivere e, lo comunicano con l'essenzialità della parola o giocando con le analogie. Rappresentano quindi i loro sentimenti più intimi in modo semplice.
Spesso il male di vivere ho incontrato
Testo
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
-
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Eugenio Montale
Commento
Spesso il male di vivere ho incontrato è una poesia di Eugenio Montale che fa parte della raccolta Ossi di seppia.
Il tema principale di questa poesia è il dolore che tutti gli esseri viventi provano.
Montale mostra nella poesia come l'unico modo che gli esseri viventi hanno per evitare il dolore sia mostrarsi indifferenti. Nel nominare l'indifferenza il poeta usa aggettivi come "divina" e parole come "prodigio" perché la piena indifferenza è impossibile per l'uomo.
Come in altre poesie, Montale usa degli oggetti per esprimere un concetto, come il rivo strozzato (il ruscello che ha il corso bloccato), la foglia accartocciata e il cavallo stramazzato dalla fatica che simboleggiano la sofferenza.
L'indifferenza invece è rappresentata dalla statua nella sonnolenza del pomeriggio, dalla nuvola e dal falco nel cielo.
Questa poesia è formata da una quartina di endecasillabi, più una quartina di tre endecasillabi e un doppio settenario. Lo schema delle rime è ABBA CDDA. Sono presenti delle onomatopee: il verbo "gorgogliare" e il verbo "incartocciarsi" imitano il suono degli oggetti. Sono presenti due enjambement nel terzo e quarto verso di ciascuna strofa.
Ho sceso dandoti il braccio
Testo
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
-
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale
Commento
La poesia Ho sceso, dandoti il braccio di Montale si trova nella raccolta Satura.
Questa è una poesia totalmente dedicata alla moglie, che, nel momento in cui Montale scriveva la poesia, era morta.
Montale si rende conto che, seppur la moglie fosse sempre stata cieca, è sempre stata lei a guidarlo perché era in grado di vedere oltre le apparenze.
Montale vuole tenere saldo il legame con la moglie.
Questa poesia è un componimento libero e i versi sono discorsivi e simili a una prosa. C'è una sola rima baciata che chiude la prima strofa. Nel verso 5 c'è un endecasillabo. Poche sono le figure retoriche ed è presente un ossimoro: "breve il nostro lungo viaggio", il quale significa che la loro vita insieme è stata lunga, ma al poeta non è bastata e voleva continuasse.